La situazione attuale in Italia

AutorPaolo Carrozza
CargoProfessor associat de Dret públic de la Universitat de Florencia
Páginas113-134

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1. I criteri di selezione lingüistica del personale delle amministrazioni pubbliche come «variabile dipendente» e come problema autonomo

Come giustamente è stato sottolineato nella presentazione contenuta nell'invito a questo Convegno, nei paesi caratterizzati da una situazione di plurilinguismo, giuridicamente riconosciuto, in relazione all'esistenza di qualche minoranza lingüistica, o nei quali, in conseguenza del carattere plurinazionale dello stato, si ha addirittura una situazione di multilinguismo su base di parità, esiste un rapporto diretto e molto stretto tra il regime giuridico dell'uso delle lingue conseguente a tale riconoscimento e i criteri di selezione dei pubblici impiegati nelle diverse amministrazioni.

In questi paesi, infatti, al carattere plurilingue dell'ordinamento consegue in genere l'adozione di processi di selezione e nomina del personale delle amministrazioni pubbliche strutturati in modo tale da assicurare una determinata competenza linguistica del personale stesso; ed in genere l'adozione di un criterio piuttosto che un altro, ira i tanti possibili, costituisce una conseguenza immediata e diretta del tipo di regime dell'uso delle lingue disposto dalle leggi fondamentali di ciascun ordinamento (nella costituzione, negli statuti regionali, nella legislazione di carattere genérale ecc).

A prima vista, dunque, la scelta di questi criteri di selezione appare una variabile dipendente dal tipo di regime dell'uso delle lingue adottato da quel determinato ordinamento o in riferimento ad una determinata area; e, a sua volta, la scelta di un regime linguitico piuttosto che un altro dipende da numerosi fattori, prevalentemente di ordine storico-politico.

Da tale osservazione discende in genere la qualificazione del problemaPage 114 della selezione linguistica dei dipendénti (pubblici) come problema secondario o comunque derivato, di mera attuazione di principi e regole logicamente preesistenti se non anche di rango superiore (quelle sull'uso della lingua); così che raramente i testi delle costituzioni o, degli statuti regionali, in sede di definizione del regime linguistico, si soffermano a descrivere analíticamente i criteri di detta selezione, le sue modalitá di svolgimento, i suoi effetti ecc, rinviando la precisazione di tali profili ad un momento successivo.

Atteggiamento che quasi mai si dimostra saggio; la competenza lingüistica del personale dell'amministrazione, la composizione «etnica» dell'amministrazione, i criteri di selezione introdotti per assicurare tali competenze e composizione, infatti, nei paesi caratterizzati da multilinguismo giuridicamente riconosciuto appaiono con sempre maggion evidenza problemi chiave, sia perché dalla loro soluzione in larga misura dipende la garanzia dell'effettivita dei diritti linguistici, sia perché, a causa dei confliggenti interessi che questi problemi coinvolgono, essi sono in genere all'origine dei più gravi conflitti etnico-linguistici, soprattutto negli ordinamenti o nelle aree interne a ciascun ordinamento in cui coesistono diversi gruppi étnico linguistici.

Se dunque e innegabile che tra regimi dell'uso delle lingue e criteri di selezione linguistica del personale dell'amministrazione esiste uno stretto rapporto (e si cercherà di illustrare tra breve entro quali limiti sia corretto parlare di dipendenza dei secondi dai primi), l'esperienza —o quantomeno l'esperienza italiana— insegna che il problema della selezione linguistica ai fini dell'accesso all'amministrazione nei paesi plurilingui tende oggi ad assumere rilevanza autonoma, ed a prospettarsi come problema a sé stante, che richiede soluzioni specifiche, non necessariamente conriesse con quelle adottate in riferimento alla disciplina dell'uso delle lingue.

La ragioni di ciò, sécondo quanto si puó dedurre dall'esperien2a italiana (ma mi pare che queste considerazioni abbiano valore anche in riferimento ad altri ordinamenti), setnbrano principalmente due:

  1. Una ragione di ordine soprattutto politico: nello stato sociale contemporaneo, la «qualità della vita», dipende in misura crescente dalla qualitá e dalla fruibilità di adeguati servizi prevalentemente assicurati dall'intervento pubblico, e per la maggior. parte di essi (anche a prescindere da quelli per i quali i profili linguistici sonó addirittura decisivi: informazione, scuola, servizi culturan, ecc.) qualitá e fruibilitá sono strettamente legate alla competenza linguistica di chi produce o eroga i servizi stessi; per altro verso, la crisi dello stato sociale (quantomeno di certi suoi meceanismi finanziari e redistributivi) impone la necessità di realizzare la gestione di tali servizi secondo criteri di economicitá e di redditivitá che spesso mal si accordano con le esigenze suddette; senza considerare, infine, che in tutte le grahdi democrazie occidentali (ma forse in Italia il problema èPage 115ancora più avvertito) l'impiego pubblico talvolta costituisce esso stesso, di per se, uno strumento di assistenza sociale, una vera e propria valvola di. sfogo per la dissoccupazione, soprattutto nelle aree economicamente depresse.

  2. Una ragione di ordine giuridico-istituzionale: l'introduzione di criteri di selezione linguistica del personale delle amministrazioni pubbliche in ordinamenti plurilingui avviene per assolvere a diverse esigenze, ciascuna delle quali ha logiche proprie che vanno tenute distinte anche se —come spesso accade— si tende ad assolvere ad esse mediante l'introduzione di un unico criterio di selezione linguistica del personale che aspira ad un. impiego pubblico; le principali esigenze (quantomeno alia luce dell'esperienza italiana) appaiono le seguenti:

— quella di rendere effettivo l'esercizio dei c.d. diritti linguistici: l'esercizio di alcuni di tali diritti (come il diritto di usare la «lingua materna» nei rapporti con l'amministrazione pubblica, il diritto di ricevere l'insegnamento nella lingua materna, il diritto di ricevere 1'insegnamento della lingua. materna, ecc.) presuppone che le am.ministrazioni pubbliche siano dotate di personale con competenze linguistiche in grado di rendere effettivi tali diritti.

Si osservi, che giá in riferimento a questo tipo di esigenze, e senza tenere conto dei diversi regimi sull'uso delle lingue, i criteri di selezione lingüistica del personale si distinguono a seconda che debbano assicurare-personale che abbia una determínala lingua materna ovvero personale che abbia certe determínate competenze linguistiche (ad esempio la conoscenza scolastica di due lingue, indipendenteniente da quale sia la propia lingua materna).

Un'ulteriore differenziazione dei criteri si avrá poi in ragione del livello delle competenze linguistiche richieste (è chiaro, ad esempio, che diversa. è la competenza linguistica necessaria per chi deve insegnare una certa lingua, o per chi deve più semplicemente essere in grado di comprendere: una determinata lingua, diversa da quella materna).

Ed altre differenziazioni potranno aversi in ragione del diverso «livello» dell'amministrazione interessata: in Italia esistono almeno quattro-livelli di amministrazione (statale, regionale, provinciale e comunale), senza contare i vari enti pubblici, economici e non, dotati di una certa autonomía, nel reclutamento del personale.

— quella di assicurare, soprattutto nel caso in cui in un ordinamento (oppure in una parte di esso) coesistano diversi gruppi linguistici, che le-corrispondenti amministrazioni pubbliche abbiano una composizione proporzionale alla rilevanza demografica di ciascun gruppo linguistico al finedi garantire l'eguaglianza delle condizioni di accesso agli uffici pubblici di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro lingua materna; tale esi-Page 116genza non comporta necessariamente un accertamento delle competenze linguistiche degli aspiranti agli impieghi pubblici, quanto piuttosto la necessita di accertare in qualche modo il gruppo di appartenenza di ciascun aspirante all'impiego, o, quantomeno (e per quanto ciò sia generalmente oggetto di conflitti di varío genere), la sua «lingua materna».

Da quanto sinteticamente rilevato, si ricava dunque l'esistenza di un'ulteriore ragione di differenziazione dei criteri di selezione linguistica del personale dell'amministrazione, che si può individuare nella funzionalita di detti criteri ad un duplice ordine di esigenze: da un lato, la garanzia dell'effettivitá di alcuni diritti linguistici; dall'altro, l'equa (proporzionale) ripartizione degli impieghi pubblici nelle amministrazoni tra gli appartenenti a diversi gruppi linguistici che coesistono in una determinata area geografico-amministrativa.

2. Il problema della selezione lingüistica dei pubblici impiegati nell'ordinamento italiano: cenni generali Il principio del «pubblico concorso»

Nell'ordinamento italiano, caratterizzato dall'esistenza di numerosi gruppi linguistici alloglotti e dall'inserimento del principio di tutela delle minoranze linguistiche tra i principi fondamentali della Costituzione (art. 6: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche»), la selezione lingüistica del personale delle amministrazioni é oggetto di una vastissima legislazione nell'ambito della quale risulta contemporáneamente operante, in relazione alie diverse situazioni minoritarie, una moltiplicitá ¦di diversi criteri di selezione.

Per rendere piü fácilmente comprensibile il significato e la portata di tali criteri alia luce dei tre ordini di problemi preliminarmente indicati (dipendenza dal regime lingüístico adottato per ciascuna situazione minoritaria, rilevanza autónoma del problema, funzionalita dei criteri alie diverse esigenze di garantiré l'effettivitá dei diritti linguistici e di assicurare Taccesso degli appartenenti alie minoranze alie amministrazioni pubbliche) appare preferibile illustrare la relativa problemática facendo dapprima riferimento al regime di tutela disposto in favore di ciascuna minoranza tutelata, per passare solo in sede di conclusione ad offrire un quadro riepi-logativo dei diversi criteri adottati in relazione al livello di amministrazione considerata e al settore in cui essa opera.

Ció anche in considerazione del fatto che in Italia non esiste una normativa genérale al riguardo, ma essa va tintracciata all'interno del complesso di misure di tutela previsto per ciascuna minoranza lingüistica, la dove tale tutela si presenta estremamente frammentata in ragione sia delle :fonti normative che la prevedono, sia della diversa intensitá della tutelaPage 117stessa, sia, infine, del diverso regime dei «diritti linguistici» previsto in. favore di ciascuna minoranza tutelata.

Alcuni principi generali in tema di organizzazione. della pubblica amministrazione, destinati a valere sia a livello statale che a livello regionale o subregionale, condizionano tuttavia non poco l'intera materia di cui ci sí deve occupare ed operano come fattori di limitazione all'introduzione di criteri di selezione linguistica che non siano strettamente correlati ad esigenze (legislativamente riconosciute e sancite) di tutela delle tninoranze linguistiche.

I più importanti (e decisivi, per quanto qui interessa) sono quelli «costituzionalizzati» all'art. 97, vale a dire il principio per cui «Agli impiegbi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge» (art. 97.3) e la riserva (relativa) di legge in tema di organizzazione dei pubblici uffici stessi (art. 97.1, che stabilisce altresì i principi della «imparzialità» e del «buon andamento» dell'amministrazione).

Dal principio di accesso all'impiego pubblico mediante concorso discende la fondamentale conseguenza che i criteri di selezione linguistica sono destinati ad operare soprattutto in riferimento e nell' ambito del pubblici concorsi; vale a dire o quali requisiti per la partecipazione a detti concorsi, ovvero quali titoli preferenziali in sede di graduatoria di concorso (suscettibili, in entrambi i casi di adeguato accertamento mediante prove di vario genere, scritte e orali), ovvero ancora —quando la selezione linguistica raggiunge il maggior grado di intensità in ragione della particolarità del posto messo a concorso (ad esempio il posto di insegnante scolastico della lingua minoritaria) o di altre particolari esigenze derivanti dal tipo di regime linguistico adottato— la competenza linguistica diventa essa stessa oggetto di valutazione nel concorso ai fini dell'attribuzione del posto.

Un ulteriore elemento di uniformità, se non di rigidità, del sistema italiano, nell'ambito di un piü vasto movimento di riforma (avviato con la legge n. 312/1980 sul nuovo assetto retributivo funzionale del personale statale) che ha per risultato una sensibile attenuazione delle differenze strutturali del rapporto di impiego pubblico rispetto all'impiego privato, é poi costituito dalla recente legge generale («quadro») sul pubblico impiego (legge 29-3-1983, n. 93), che ha introdotto nel pubblico impiego (in qualche caso razionalizzando le preesistenti discipline) una forma di contratta zione collettiva (per «compartí», vale a dire grandi settori dell'amministrazione) sul genere di quella operante nell'impiego privato.

Per quanto da qualche anno (almeno a partire dalla famigerata legge n. 285/1977 sulla «disoccupazione giovanile», che autorizzava l'assunzione in via temporanea di giovani in cerca di prima occupazione, prima o poi tutti immessi nei «ruoli» —organico determinato per legge— della pubblica amministrazione) vi sia una certa tendenza ad aggirare il principio costituzionale del concorso, mediante sempre più frequenti «sanatorie» di personale assunto a titolo precario, esso rimane l'unico strumento «uffi-Page 118cíale» per il reclutamento del personale della pubblica amministrazione. Né le esigenze di selezione linguistica hanno sinora indotto il legislatore statale a consentire deroghe di qualche genere in funzione della attuazione dei diritti linguistici delle minoranze. Anzi, i conflitti più o meno latenti conessi a ciascuna situazione minoritaria hanno semmai indotto ad evitare qualsiasi forma di deroga, proprio in ragione del carattere particolarmente «garantista» del reclutamento mediante concorso.

3. Cenni generali sulla tutela delle minoranze linguistiche in Italia Rinvio

A prescindere da tali vincoli di ordine generale, l'esame dei criteri di selezione linguistica del personale delle amministrazioni pubbliche ¡n Italia deve essere necessariamente condotto, come si è giá detto, in riferimento ai diversi regimi di tutela previsti in favore delle varie minoranze linguistiche residenti sul territorio del paese.

Non sembra il caso, in questa sede, di soffermarsi più di tanto ad illústrate i problemi generali connessi all'attuazione dell'art. 6 Cost, in riferimento aÜe diverse minoranze linguistiche.

E' pero opportuno, quantomeno a beneficio di coloro che siano meno a conoscenza di tale problematica ricordare brevemente ed in modo assai schematico alcuni caratteri generali della tutela giuridica delle minoranze linguistiche nell'ordinamento italiano.

A tal fine è sufficiente tenere presente quanto segue:

  1. il quadro complessivo di questa tutela si presenta assai contraddittorio; alcune minoranze (i francofona della Valle d'Aosta, i sudtirolesi di lingua tedesca e i ladini residenti in Provincia di Bolzano) godono di un regime di tutela completo e articolato nell'ambito degli speciali regimi di autonomía regionale rispe ttivamen te della Valle d'Aosta e del Trentino Alto Adige, i cui statuti sono approvati con legge costituzionale (cfr. legge costituzionale 26-2-1948, n. 4, per la Valle d'Aosta e 1 cost 26-2-1948, n. 5, per il T.A.A., modificata e integrala, a seguito delle rivendicazioni del gruppo sudtirolese, dalle riforme del 71-7 2, confluite insieme al precedente testo nel Testo Unico di cui al d.P.R. 31-8-1972, n. 670).

    Altre minoranze risultano «giuridicamente riconosciute» dalla legislazione di rango costituzionale, ordinaria o regionale, ma la loro tutela risulta piuttosto carente e comunque solo parcialmente realizzata ed operante: così è, ad esempio, per gli sloveni del Friuli Venezia Giulia (cfr. art. 3 del relativo statuto speciale, di cui alla legge costituzionale 31-1-1963, n. 1), e per qualche altro gruppo oggetto di limitato riconoscimento nella legislazione regionale (gli occitani e i francoprovenzali del Piemonte, i gruppiPage 119ladino e tedesco del Veneto, ecc; contengono norme di principio sulla tutela delle minoranze residenti sul rispe ttivo territorio gli statuti regionali del Piemonte, Veneto, Molise, Basilicata e Calabria).

    Tutti gli altri gruppi minoritari, grandi e piccoli (albanesi, greci, francoprovenzali ecc. sparsi qua e là un pò su tutto il territorio, ma prevalentemente nell' Italia meridionale), sono da parecchi anni in attesa di un provvedimento di riconoscimento (la c.d. legge generale sulle minoranze linguistiche) che dovrebbe consentire loro di ottenere alcune basilari misure di tutela nell'ambito sia della legislazione statale che di quella regionale. Anche se ormai la giurisprudenza costituzionale ammette pacificamente la sussistenza di una competenza legislativa regionale (limitatamente, beninteso, alie materie di titolarità regionale) in tema di tutela delle minoranze (in precedenza negata dal governo, che aveva. impugnalo tutte le leggi regionali in materia: cfr., per il più recente indirizzo della Corte costituzionale le sentenze n. 312 del 18-10-1983 e n. 289 del 28-7-1987 in Le Regioni, rispettivamente 1984, p. 238, con nota di A. Pizzorusso e 1987, p. 176, con nota di P. Carrozza), ogni intervento regionale appare ormai «politicamente» bloccatodall'auspicata approvazione di tale legge genérale, approvazione che, peraltro, ormai da diversi anni è data per ¡inminente (ed esiste un progetto di legge su cui le forze politiche di maggioranza e di opposizione hanno dato il loro consenso di massima) ma che resistenze e diffidenze di varia natura hanno ancora impedito.

  2. per le minoranze che godono di un completo regime di tutela, questo régime appare strutturato secondo i seguenti criteri generalir

    — l'art. 6 Cost, è stato interpretato come pressuposto per il riconoscimento di misure di tutela sia di tipo «negativo» (volte ad escludere qualsiasi forma di discriminazione per motivi di lingua), che di tipo «positivo» o «riparativo» (consistenti nel riconoscimento in favore degli appartenenti alla minoranza di situazioni giuridiche soggettive a carattere collettivo, miran ti —ancorché siano configurate in forma di diritti soggettivi individuali— ad assícurare lo sviluppo della minoranza come gruppo, dei suoi caratteri distintivi —lingua, cultura ecc.— ed eventualmente anche la «riparazione» degli eventuali trattamenti díscriminatori subiti in passato); tali misure sono state riconosciute in forma diversa e con diverso grado di intensità a seconda delle diverse situazioni considerate, e, come si è già rilevato, non con legge generale ma con provvedimenti differenziati.

    — in virtü degli artt. 6 e 5 Cost. (quest'ultimo recante il riconoscimento dei principi dell'autonomia e del decentramento su base territoriale), per alcune minoranze sono state introdotte anche situazioni giuridiche oggettive consistenti sia nella previsibne di forme ni «autonomía territoriale della minoranza» (con la concessioñe di un ampia autonomia político-amministrativaazone di territorio abítate prevalentemente o esclusivamenPage 120te dalla minoranza, e nelle quali, dunque, la. minoranza costituisce la maggioranza della popolazione, anche se ciò non comporta il riconoscimento né di una vera e propria «soggettività» della minoranza stessa, né di alcun formale potere di rappresentanza della minoranza in capo agli organi di tali enti), sia mediante l'adeguamento alle particolari esigenze di ciascuna minoranza della legislazione statale in qualche modo influente sulle condizioni della minoranza stessa.

    Occorre infatti tenere presente che molti settori di competenza —«materie»— in tal senso rilevanti (come l'ordinamento scolastico, l'ordinamento giudiziario e in genere di tutti gli uffici periferici dello stato) rimangono pur sempre di competenza dello stato centrale e l'adattamento della legislazione alle esigenze della tutela della minoranza può essere posto in essere solo dallo stato, ancorché mediante una legislazione speciale, in quanto destinata ad avere efficacia solo per la parte di territorio in cui risiede la minoranza.

    I principali esempi di questa ulteriore forma di tutela sono offerti dalla regione ad autonomia speciale Valle d'Aosta (abitata da circa 110.000 persone, di cui circa 70.000 francofoni) e dal particolare regime di autonomía della Provincia di Bolzano nell'ambito della regione speciale Trentino Alto Adige (nella quale provincia risiedono circa 280.000 cittadini di lingua tedesca, 125.000 di lingua italiana e 18.000 di lingua ladina); scarsi benefici apporta invece l'autonomia regionale speciale del Friuli Venezia Giulia per i circa 70.000-100.000 (a seconda dei diversi dati considerad) sloveni residenti in tale regione. Il progetto di legge generale sulle (altre) minoranze prevede peraltro che le regioni interessate siano delegate, per le materie che non fossero giá di loro competenza, ad adottare i provvedimenti necessari ad attuare le (meno intense) misure di tutela previste da tale legge.

4. Regime dell'uso delle lingue e criteri di selezione del personale nell'ordinamento speciale della valle d'aosta

Esaurita la lunga premessa, è dunque possibile entrare nel vivo dell'argomento, iniziando ad esaminare la situazione della minoranza francofona della Valle d'Aosta, il cui regime di tutela, sotto il particolare profilo della selezione linguistica del personale delle amministrazioni, presenta una relativa maggior semplicita proprio in ragione del particolare regime dell'uso delle lingue adottato in tale regione.

Lo statuto speciale del '48 (artt. 38, 39 e 40), infatti, prevede un regime di bilinguismo totale (cfr. Pizzorusso, Il pluralismo linguístico tra stato nazionale e autonomie regionali, Pisa, 1976, p. 275 ss.; Carrozza, «Lingue (uso delle)», in Novissimo Digesto Italiano, Appendice, IV, p. 946, ss.; sui caratteri generali dell'ordinamento valdostano cfr. R. Bar-Page 121bagallo, La regione Valle d'Aosta, Milano, 1978), che si fonda sui seguenti principi:

  1. nella regione la lingua francese è parificata a quella italiana (art. 38.1);

  2. gli atti pubblici possono essere redatti indifferentemente nell'una o nell'altra lingua (art. 38,2). Fanno eccezione soltanto i «provvedimenti dell'autorità giudiziaria» (da intendersi in senso stretto: sentenze, ordinanze, órdini di cattura, ma non anche interrogatori ecc), che devono essere redatti in lingua italiana (art. 38.2).

In forza di tali principi, quindi, tutti coloro che vivono in Valle d'Aosta possono usare, nei rapporti con l'amministrazione (tutte le amministrazioni, sia locali che regionali o statali ivi situate) la lingua che preferiscono, ma, a loro volta, i funzionari publici possono usare, nei rapporti coi cittadini, sia Tuna che l'altra lingua.

Senza soffermarsi sulle ragioni storico-politiche che l'hanno reso possibile, si può osservare che sotto il profilo che qui interessa questo regime implica, per sua stessa natura, che il personale delle varie amministrazioni si trovi in una situazione di bilinguismo soltando passivo: tale personale, cioé, deve essere in grado di comprendere entrambe le lingue ufficiali (poiché i cittadini gli si rivolgeranno indifferentemente nell'una o nell'altra), ma non necessariamente di parlarle entrambe (c.d. bilingüismo altivo), dal momento che nei rapporti con i cittadini detto personale è a sua volta libero di utilizzare l'una o l'altra lingua.

In sostanza, come è stato giustamente rilevato (Pizzorusso, op. cit., p. 278), «...è onere del destinatario di qualunque dichiarazione che sia suscettibile di assumere effetti giuridici preoccuparsi di comprendeme il significato e... non spetta invece al dichiarante l'onere di fornire una traduzione o di farsi assistere da un interprete».

Non c'é dubbio che tale regime dell'uso delle lingue renda assai più semplice che in altri casi l'individuazione dei criteri di selezione linguistica del personale delle amministrazioni stesse, dal momento che, data per scontata la conoscenza della lingua italiana (obbligatoriamente impartita nelle scuole di ogni ordine e grado), detti criteri devono soltanto assicurare, in sede di concorso all'impiego, una certa conoscenza della lingua francese da parte di tutti i publici impiegati della Valle, all'esclusivo fine di garantirne il bilinguismo passivo.

La sostanziale vicinanza tra le due lingue ufficiali (italiano e francese) e l'assenza di rapporti conflittuali tra gli appartenenti al gruppo francofono e gli appartenenti al gruppo italiano che risiedono nella regione hanno poi fatto si che non si prevedesse alcuna forma di ripartizione proporzionale (o «riserva») degli impieghi pubblici tra gli appartenenti ai due gruppi linguistici; ne consegue che i criteri di selezione lingüistica di cui si staPage 122per dire non devono appurare anche quale sia la lingua materna o il gruppo di appartenenza degli aspiranti all'impiego (come invece avviene quando esistono riserve o ripartizioni proporzionali degli impieghi).

E' tuttavia interessante notare che, con vari meccanismi, si cerca di far si che i residenti nella Valle siano tendenzialmente preferid, negli impieghi pubblici, ai non residenti.

Per verificare come concretamente operano i criteri di selezione linguistica in sede di reclutamento mediante concorso, occorre distinguere tre diversi ordini di impieghi: regionale, statale (uífici decentrati nella regione) e ordinamento scolastico.

Impiego regionale; fin dagli anni '50 (cfr. leggi reg. li 28-7-56 n. 3, e 10-11-66, n. 15) la legge regionale impone come requisito per la parte-cipazione ai concorsi locali la «buona conoscenza» della lingua francese; l'esistenza di tale requisito viene accertata mediante una prova preliminare, il cui mancalo superamento esclude il candidato da ogni successiva prova d'esame di quel concorso. A ció si aggiunga che costituiscono «titoli preferenziali» per l'assunzione (in sede di formazione della graduatoria) la nascita e la residenza nella Valle, l'avere già prestato servizio presso l'amministrazione regionale o in enti e uffici da essa assorbiti.

Impiego statale nella regione: l'art. 38,3 dello Statuto dispone che «Le amministrazioni statali assumeranno in servizio nella Valle possibilmente funzionari originari della regione o che conoscano la lingua francese». L'attuazione di questa disposizione ha incontrato parecchie difficoltà, dovute ad una certa ambiguitá del suo disposto normativo a proposito del significato del termine «possibilmente» e dell'obbligatorietá o meno del requisito della conoscenza del francese ai fini dell'assunzione (cfr. in proposito F. Bassanini e V. Onida, Problemi di diritto regionale, Milano, II, p. 275 ss.).

Solo di recente lo Stato, con la 1. 16-5-1978, n. 196 recante (nuove) norme di attuazione dello statuto speciale della Valle d'Aosta, ha dettato la definitiva disciplina della materia, eliminando i residui dubbi interpreta ti vi.

Queste norme (artt. 56-54 1. 196/82 cit.) si applicano a tutti i concorsi per le amministrazioni dello stato, anche ad ordinamento autonomo (art. 50), nonché per gli enti pubblici non economici (ar't. 54), per i posti nei «molí periferici delle varie carriere che prevedono l'impiego in sedi della Valle d'Aosta» (art. 51); a tal fine le amministrazioni bandiscono appositi concorsi, che si devono svolgere ad Aosta e devono prevedere «una prova per l'accertamento della conoscenza della lingua francese» (art. 51).

Quanto al trasferimento di impiegati statali in Valle d'Aosta, l'art. 52 dispone che «sonó preferiti coloro che siano originari della regione o chePage 123conoscano la lingua francese»; per le c.d. assunzioni obbligatorie di personale (in Italia automaticamente riservate per una certa quota dei posti di personale delle qualifiche inferiori in favore di alcune categorie: invalidi civili, handicappati ecc), l'origine regionale o la conoscenza della lingua francese costituiscono titolo di preferenza.

Particolari disposizioni (artt. 55-58) sono infine dettate per il reclutamento dei segretari comunali (che, in Italia, secondo il vecchio modello liberale, dipendono non dall'amministrazione locale ma direttamente dal Ministero dell'Interno): anche per questa particolare categoría di funzionari locali, che riveste ancora una certa importanza per il funzionamento dei comuni, é stabilito l'accertamento della «piena conoscenza della lingua francese» ad opera di un'apposita commissione nominata dal presidente della regione (art; 55). In via transitoria, per un periodo di dieci anni, per la copertura dei posti vacanti viene indetto annualmente in Aosta un concorso nel quale i candidati devono superare una prova scritta ed una órale di lingua francese; è interessante rilevare che per facilitare il reclutamento dei segretari comunali in possesso di buona conoscenza del francese, la normativa transitoria deroga alla normativa di diritto comune nel non prescrivere il requisito del possesso della laurea in giurisprudenza o scienze politiche (che é invece prescritto in sede di concorso nazionale).

Ordinamento scolastico. L'ordinamento scolastico costituisce, come è facile intuiré, uno degli aspetti chiave della tutela della minoranza, dal momento che dal buon funzionamento dell'insegnamento della e nella lingua minoritaria dipende non solo la credibilitá delle norme sull'uso della lingua ma, in definitiva, la stessa sopravvivenza della lingua minoritaria nei confronti della inevitabile tendenza, caratteristica di ogni stato contemporáneo, alla omogeneizzazione culturale e all'assimilazione, più o meno voluta, delle minoranze.

Lo statuto della Valle d'Aosta prevede in proposito due ordini di disposizioni che in qualche modo influenzano anche il problema di cui ci si sta occupando: all'art. 3 lett. g) si riconosce una competenza legislativa integrativa-attuativa (nei fatti del tutto analoga, per «spazio» lasciato alla regione, a quella «concorrente» delle regioni c.d. ordinarie ex art. 117 Cost.) nel campo della «istruzione materna, elementare e media» (comprese le scuole superiori, quindi); agli artt. 39 a 40 si prevede che nelle scuole di ogni ordine e grado della regione all'inségnamento della lingua francese sia dedicato un numero di ore pari a quello della lingua italiana (art. 39.1), che rinsegnamento di alcune materie possa essere impartito in francese (per cui tale lingua assume la natura di lingua «veicolare»: art. 39.2), nonché l'adattamento dei programmi ministeriali alle (conseguenti) necessità locali'(gli adattaraenti sonó concertati in apposite commissioni a composizione mista ministero/regioné/insegnahti: artt. 40)..

Al complesso di tali esigenze si era peraltro già provveduto sin dalPage 12446-'47; con il decr. Capo provv. Stato 11-11-1946, n. 365 era stato previsto il trasferimento di tutte le scuole, elementari e medie, alla regione (art. 1); alla nomina del personale avrebbe dovuto provvedere la regione, mediante appositi concorsi per l'accesso ai ruoli speciali regionali determinad dalla regione stessa artt., 3 e 4); con la circolare regionale n. 123 del 27-2-1947 la regione aveva poi provveduto a fissare il quadro di ripartizione degli insegnamento (in italiano ed in francese) per le scuole elementari e materne.

Tale regime provvisorio rimase a lungo in vigore, anche a causa delle resistenze opposte dallo stesso corpo insegnante alla sua completa «regio-nalizzazione». Occorre tenere presente che, a causa dell'esiguità della popolazione locale e dell'assenza di un'università nella regione, buona parte del corpo insegnante proveniva dal vicino Piemonte, dove ambiva, prima o poi, a ristabilirsi mediante successivo trasferimento; trasferimento che rischiava pero di essere ostacolato dalla creazione di ruoli regionali (e relativi concorsi) nettamente distinti dai ruoli (e dai concorsi) nazionali previsti per il reclutamento del corpo insegnante «nazionale». Solo di recente la materia ha trovato definitiva sistemazione, dapprima col d.P.R. 31-7-1975, n. 861, che ha finalmente istituito i ruoli regionali del personale scolastico: all'art. 5 di tale legge si stabilisce che i concorsi per l'assunzione degli insegnanti sono indetti dalla regione di regola in concomitanza con quelli nazionali e secondo le norme statali, salvo l'accertamento della conoscenza della lingua francese, che avviene secondo i criteri stabiliti dalla regione. Agli insegnanti valdostani è stato riconosciuto il medesimo stato giuridico e trattamento económico degli insegnanti dei ruoli nazionali; la «mobilità» tra i due ruoli é garantita, ma chi chiede il trasferimento in Valle d'Aosta deve sottoporsi all'accertamento della conoscenza della Iingua francese secondo criteri fissati dalla regione. Con la legge n, 196/82 cit. si é poi provveduto a colmare le residue Iacune (definizione della procedura per l'adattamento dei programmi scolastici, competenza regionale per l'istituzione delle nuove scuole ecc).

Di particolare interesse per i profili qui considerati risulta la legge reg. le 26-4-1977, n. 23, con la quale la regione ha dato piena attuazione ai príncípi stabiliti dallo stato con il d.P.R. n. 861/75 cit. In particolare, per quanto concerne ai criteri di selezione linguistica degli insegnanti si afferma che l'accertamento della conoscenza del francese «è inteso a dimostrare... la piena conoscenza della lingua francese e la sua capacita di insegnare nella lingua medesima in scuole funzionanti in ambiente bilingue in conformità agli artt. 39 a 40 dello statuto speciale» (art. 6.1); le modalitá concrete di tale accertamento sono stabilite agli artt. 5 e 6: l'accertamento avviene mediante apposite prove da tenersi prima che inizi lo svolgimento delle prove d'esame dei corrispondenti concorsi nazionali (che ormai si svolgono tuttí in forma decentrata su base regionale); dette prove consistono in una prova scritta e una órale «nel corso della quale saranno sollecitati gli oppor-Page 125tuni collegamenti con le caratteristiche della comunità valdostana, non senza riguardo ai programmi di insegnamento vigenti nelle relative scuole» (art. 6.3). Analoghe misure sono previste in caso di richiesta di trasferimento degli insegnanti dal ruolo nazionale nei ruoli regionali. E' interessante notare che per il prolungamento d'orarío conseguente all'insegnanmento della lingua francese, agli insegnanti elementari viene corrisposta-una speciale indennitá mensile (art. 2,2).

Queste disposizioni introducono criteri di selezione linguistica che risultano, dal lato pratico, assai più severi di quelli,. di cui si è detto, per i concorsi negli uffici statali e regionali; d'altra parte, occorre considerare, che in questo non caso si tratta di garantire un bilinguismo meramente passivo, ma di accertare la capacita di ciascun insegnante di utilizzare la lingua francese come lingua veicolare, il che richiede, come è ovvio, un bilinguismo anche altivo di notevole livello.

Anualmente, i maggiori problemi relativi all'ordinamento scolastico. discendono dalla circostanza che la maggior parte dei c.d. francofoni della Valle d'Aosta (soprattutto nei comuni più isolati) non parla il francese ma un dialetto francoprovenzale (il c.d. patois), divergente tanto dall'italiano-quanto dallo stesso francese. Si tratta di un problema che si trascina sin dall'immediato dopoguerra: la lingua francese, infatti, è, in realtà, la lingua elettiva delle elites colte e della borghesia cittadina e non certo la «lingua materna» della popolazione residente nella regione. Occorre peraltro riconoscere che, da qualche anno, una certa maggior sensibilità nei confronti della educazione linguistica e dei problemi connessi all'uso dei dialetti locali ha spinto i responsabili della scuola valdostana ad istituire corsi di aggiornamento per il personale scolastico (soprattutto delle scuole materne, ed elementari) volti alla preparazione del corpo docente alle particolari esigenze poste dall'uso del dialetto lócale anche nell'ambito dell'insegnamento.

Dal complesso della normativa regionale e statale sin qui esaminata si ricava l'impressione che la principale finalità dell'introduzione dei suddetti speciali criteri di selezione linguistica del personale delle amministrazioni pubbliche situate in Valle d'Aosta sia queÜa di garantire l'effettivo bilinguismo di tale personale e, in questo senso, detti criteri assumono carattere strumentale o funzionale rispetto al principio di bilinguismo totale di cui all'art. 38.1 Statuto.

In tale contesto non trova spazio alcuna forma di riserva o ripartizione degli impieghi pubblici in favore degli appartenenti alla minoranza; non solo, infatti, non é previsto alcun criterio di selezione lingüistica volto ad accertare la «lingua materna» o «l'appartenenza al gruppo linguistico» degli aspiranti agli impieghi, ma i criteri di «preferenza» (peraltro assai blandi) negli impieghi in favore degli aspiranti residenti nella Valle operano indistitamente per tutti i residenti; indipendentemente dalla appartenenza all'uno o all'altro gruppo.

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5. uso della lingua e selezione lingüistica del personale in Provincia di Bolzano

Ben più complessa della situazione valdostana appare la situazione sudtirolese a causa di una serie di fattori che è opportuno illustrare sinteticamente in sede di premessa all'analisi dei profili più direttamente attinenti alia questione di cui si sta trattando, rinviando, per il loro approfondimento alia ampia bibliografía esistente in argomento (cfr., in particolare. Pizzorusso, op. cit., p. 101 ss., E. Reggio d'Aci, La regione Trentino Alto Adige, Milano, 1982, Carrozza, Lo status della minoranxa sudtirolese: una riflessione critica e B. De Witte, I diritti garantiti dall'accordo Degasperi-Gruber: una eccezione diventata regola?, entrambi in AA.W., I rapporti di vicinato ira Italia e Austria, Milano, 1987, p. 213 ss, e 243 ss.).

Innanzitutto, occorre ricordare che l'adozione di misure di tutela in favore della minoranza sudtirolese (in parte poi estese anche ai ladini che risiedono in provincia di Bolzano) discende da precisi obblighi internazionali ed in particolare dall'Accordo italo-austriaco Degasperi-Gruber del 5-9-1946; lo statuto speciale del T.A.A. di cui alla legge cost. le n. 5/1948 cit. doveva recepire le misure di tutela previste (per la verità in forma di principi generalissimi) dall'Accordo e prevederne di ulteriori in attuazione del principio di diritto interno di cui all'art. 6 Cost.

In realta, lo statuto del '48 finiva per eludere alcuni dei principi chiave dell'accordo (soprattutto quello in tema di proporzionale etnica e quello in tema di autonomía territoriale della minoranza, che il vecchio statuto tentava di stemperare nella più ampia autonomia riconosciuta alia regione T.A.A., nella quale i sudtirolesi venivano peraltro a trovarsi in netta minoranza) .

Questa situazione, aggravata da una política di ostruzionismo all'effettiva attuazione delle principali misure di tutela (política attuata dai governi del tempo anche dietro la spinta del gruppo di lingua italiana residente in provincia di Bolzano), determinò il sorgere, a partire dal '57 (anno del c.d. Los von Trient), di un aspro conflitto, di rilevanza anche internazionale (a seguito delle iniziative assunte in tal sede dall'Austria), che si concluse solo nei primi anni '70, con l'accettazione da parte del governo italiano dei 137 punti del c.d. Pacchetto di rivendicazioni avanzate dai rappresentanti della minoranza, raggruppata pressoché integralmente in torno al partito etnico, il Sudtiroler Volkspartei, che è il partito di maggioranza relativa in provincia di Bolzano.

Le misure previste dal pacchetto furono introdotte nell'ordinamento italiano sia con le già ricordate riforme dello statuto del '71-72, sia con varié «norme di attuazione dello Statuto» (decreti legislativi aventiil rango di norme primarie, emanati dal governo sentita una commissione mista paritetica di rappresentanti del governo e della provincia di Bolzano: cfr.Page 127art. 107.2 Statuto; iñ tealtà è la commissione la vera sede di elaborazione di dette norme).

Buona parte di queste norme, indispensabili per la piena realizzazione di molte misure di tutela, è stata emanata, seppur con esasperante lentezza e ritardo; ne mancano tuttavia ancora alcune di notevole rilevanza (ad es. quella in materia di uso della lingua nei tribunali), sicché, a prescindere dal malcontento che tale situazione produce, ancora non si sono potuti definire i profili internazionali della «questione sudtirolese», rimessi al rilascio da parte dell'Austria di una «quietanza liberatoria», che attesti l'effettiva realizzazione di tutte le misure di tutela previste dall'Accordo Degasperi-Giu ber e dal «pacchetto».

La situazione sudtirolese è dunque una situazione di perdurante e latente conflitto interetnico (si ricordi che il gruppo di lingua italiana si è costituito soprattutto negli anni del fascismo, quando la massiccia immigrazione di «italiani» fu favorita proprio nel quadro di una politica di progressiva assimilazione del gruppo autóctono di lingua tedesca); ed è in questa luce che vanno esaminate anche le norme che rilevano ai fini dell'argomento qui trattato: la maggior complessità del regime di tutela previsto in Sudtirolo rispetto a quello valdostano appare dunque il riflesso di una diversa e più cornplessa situazione oggettiva. Ma va anche detto che, paradosalmente, oggi che le ragioni del vecchio conflitto si vanno gradualmente spegnendo (risultando la minoranza sudtirolese una delle meglio tutelate in Europa), la rigiditá dei meccanismi di funzionamento pratico propri di alcune misure di tutela sta a sua volta all'origine di nuovi conflitti, alimentando uno scontro che appare in buona parte artificioso.

Il regime di tutela della minoranza sudtirolese (e di cui, in parte, beneficia anche la minoranza ladina) si ispira al principio del separatismo linguistico. Tale principio, che risulta per certi aspetti opposto rispetto a quello del bilinguismo totale accolto in Valle d'Aosta, ha come sua fundamentale finalità quella di garantire la non integrazione dei gruppi linguistici coesi stenti nello stesso ambito territoriale (cfr. Pizzorusso, op. cit., p. 78). La «coufficialità» degli idiomi tédesco e italiano (art. 99.1) si traduce nel principio delTaío disgiunto delle due lingue nei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione (organi e uffici situati nella provincia di Bolzano, o situati a Trento ma aventi competenza regionale, nonché i concessionarí di pubblici servizi: cfr, art. 100.1).

In termini di organizzazione dell'amministrazione e di reclutamento del relativo personale questa regola comporta una situazione diversa da quella vista per la Valle d'Aosta: in Sudtirolo, infatti, ogni cittadino ha diritto a rivolgersi all'amministrazione e a sentirsi. rispondere nella propria lingua materna; e nel caso di corrispondenza avviata d'ufficio, essa si svolge nella lingua presunta del destinatario (art. 100.3). Salvo i casi previsti espressamente (e la disciplina con norme d'attuazione dei casi di uso congiunto delle due lingue: si tratta di una norma ancora mancante, sicché per gliPage 128aspetti non directamente regolati dal nuovo statuto trova ancora applicazione il vecchio regime di cui al d.P.R. 3-1-1960, n. 103) la regola e quella dell'uso disgiunto delle due lingue, con la sola eccezione degli ordinamenti di tipo militare (art. 100.4). Dal lato pratico, per assicurare il rispetto di tale regime, le amministrazioni, a seconda dei casi, o si dotano di sportelli separan {a ciascuno dei quali si rivolgerantio gli appartenenti al corrispondente gruppo lingüístico), o si dotano di personale che sia anche altivamente bilingüe.

Il principio del separatismo si manifesta anche nell'ordinamento scolastico, che è a suavolta rígidamente separato: «l'insegnamento nelle scuole materne, elementari e secondarie è impartito nella lingua materna italiana o tedesca degli alunni da docenti per i quali tale lingua sia egualmente quella materna» (art. 19 St.); in ciascuno di tali sistemi scolastici l'altra lingua «ufficiale» è impartita quale «seconda lingua» a partire dalla seconda o terza classe delle elementari da docenti per i quali tale lingua è lingua materna (art. 19).

Questo particolare regime,. oggetto di critica da parte di chi vorrebbe un progressivo superamento delle c.d. barriere etniche, ha il pregio di rendere assai semplici il reclutamento e la selezione linguistica del personale insegnante: infatti, per detto personate (che rimane, a differenza che in Valle d'Aosta, statale a tutti gli effetti, ancorché inserito in ruoli speciali) la norma d'attuazione in materia scolastica di cui al d.P.R. 20-14973, n. 116 si limita a stabilire il possesso dei requisiti prévisti per la partecipazione ai corrispondenti concorsi nazionali, é ad affermare che l'insegnamento nelle scuole tedesche é riservato agli appartenenti al gruppo linguistico tedesco, e l'insegnamento nelle scuole italiane é riservato agli appartenenti al gruppo linguistico italiano (art. 12). Solo per questa particolare categoria di impieghi si esclude l'applicazione del requisito del bilingüismo disposto in via generale dal d.P.R. 26-7-1976, n. 752 (cfr. art. 3 del d.P.R. 19-10-1977, n. 846).

Particolari criteri di selezione vengono invece introdotti (fermo restando il requisito dell'appartenenza al corrispondente gruppo linguistico) per coloro che aspirano ad insegnare la seconda lingua nelle scuole elementan dell'altro gruppo linguistico: per essi, infatti, deve essere accertata anche la conoscenza della lingua dell'altro gruppo nonché della didattica per l'insegnamento della seconda lingua (art. 13.4). Norme del tutto particolari vigono poi per il reclutamento degli insegnanti delle scuole dei comuni ladini (cfr. art. 7).

Non c'è dubbio, tuttavia, che l'istituto piü singolare, dal punto di vista che qui interessa, sia costituito dalla c.d. proporcionale etnica. Questo istituto costituisce una forma particularmente intensa di applicazione del più generale principio dell' accesso su basi parita degli appartenenti alla minoranxa alle canche e agli uffici pubblici, la cui finalità è appunto quella di consentire alla minoranza di contrallare l'amministrazione che ha sedePage 129ove essa risiede (cfr. Pizzorusso, op. cit., p. 206 ss., nonché Carrozza, «La dichiarazione di appartenenza ai gruppi linguistici nella provincia di Bolzano», in Le nuove leggi civili commentate, 1983, p. 1.137 ss.}.

Mentre per alcune cariche e organi pubblici questo principio riceve attuazione in forme diverse (proporzione fissa, alternanza, composizione paritaria ecc. a seconda dei casi), proprio in riferimento al personale delle amministrazioni pubbliche, regionali e statali, esso riceve attuazione secondo un rapporto di effettiva proporzionalitá rispetto ad un parametro prestabilito (variabile, come si vedrá, in relazione al carattere statale, regionale, provinciale o comunale dell'impiégo): in sostanza, i posti disponibiíi nei diversi uffici pubblici sono ripartiti proporzionalmente tra i gruppi linguistici e l'accesso al contingente spettante a ciascun gruppo è riservato esclusivamente agli appartenenti al corrispondénte gruppo linguistico.

E' facile comprendere come questo istituto costituisca il più importante e decisivo strumento di selezione linguistica del personale dell'amministrazione, anche se la sua finalità non è quella di assicurare la conoscenza delle lingue coufficiali ma quella di garantire l'equa ripartizione degli impieghi pubblici fra i cittadini dei diversi gruppi: in riferimento a questo istituto può dunque apparire improprio parlare di selezione linguistica, dal momento che (a prescindere dai requisiti, dai titoli e dalle prove previsti per ciascun concorso e dal rispetto delle norme sull'accertamento del bilinguismo) unico oggetto dell'accertamento è l'appartenenza o meno al determinato gruppo linguistico cui spetta il posto messo a concorso.

Fino al '77, a tale accertamento si provvedeva mediante dichiarazioni da rilasciarsi all'atto della domanda di partecipazione al concorso; in via transitoria, il d.P.R. 26-3-1977, n. 104 dispose che la dichiarazione dovesse essere resa e sottoscritta, una volta per tutte, dinanzi al segretario comunale del comune di residenza; il regime attualmente vigente è contenuto nel l'art. 18 del d.P.R. n. 752/76 cit., integralo dal d.P.R. 24-3-1981 n. 216 e dal d.P.R. 3-4-1985, n. 108, e prevede che la dichiarazione, che giuridica-mente costituisce una manifestazione di volontà irrevocabile per un decennio, venga resa in sede di censimento generale della popolazione (e così è avvenuto ad iniziare dal censimento del 1981). La disciplina (e l'attuazione concreta) di questo istituto è stata fonte di innumerevoli polemiche e contrasti, poiché in essa si è visto, da parte di alcuni, un ulteriore irrigidimento della politica di separatismo linguistico, con tutti i rischi che essa comporta in ordine ai rapporti tra i gruppi.

Nei confronti della disciplina di tale istituto fu anche sollevata, dal Pretore di Bolzano (cfr. ord. 28-9-1981, in Il Foro Italiano, 1982, I, 2692), questione di costituzionalitá in via incidentale dinanzi alia corte costituzionale, in riferimento al problema della dichiarazione dei minori di etá. La Corte, tuttavia, a seguito delle modifiche apportate dal citato d.P.R. 108/85, decise di non entrare nel merito della questione ritrasmettendo gli atti al giudice a quo per il riesame della rilevanza (cfr. ord. n. 151 del del 14-5-Page 1301985). Recentemente, peraltro, il Consiglío di Stato ha annullato il regolamento di esecuzione del censimento nella parte in cui non consente ai cittadini residenti in provincia di Bolzano di dichiararsi appartenenti, oltre che ai tre gruppi «ufficiali» italiano, tedesco e ladino, «alloglotti» o «mistilingui» (cfr. sent. 7-6-1984, n. 439, in Il Foro Italiano, 1985, III, 16; stante il silenzio serbato dal governo, il Consiglio di stato, in sede di giudizio di ottemperanza al suo precedente giudicato (dec. 7-8-87, n. 497, ibidem, 1988, III, 73), ha ordinato al governo di provvedere ad emanare una nuova regolamentazione del censimento entro il 17 febbraio 1988, ma nessun provvedimento risulta pubblicato entro tales data).

Come si è detto, l'istituto della proporzionale etnica ha disciplina diversa a seconda dell'amministrazione cui si riferisce: ferina restando (a partire dal 1981) l'utilizzazione della dichiarazione resa in sede di censimento ai fini dell'accertamento del requisito soggettivo dell'aspirante al posto, consistente nell'appartenenza al corrispondente gruppo linguistico, ciò che effettivamente muta è il criterio in base al quale viene calcolata la riserva dei posti spettante a ciascun gruppo.

Il regime piü rígido e restrittivo è disposto, direttamente dallo statuto, per le amministrazioni statali aventi uffici nella provincia art. 89.1), ivi compresa la magistratura giudicante e requirente (art. 89.7): in questo caso, infatti, i posti dei relativi ruoli, distinti per carriere, sono ripartiti tra i cittadini dei vari gruppi in rapporto alla consistenza de gruppi stessi quale risulta dalle dichiarazioni rese in sede di censimento (c.d. efficacia oggettiva delle dichiarazioni di appartenenza). La disciplina di dettaglio è contenuta nel già citato d.P.R. n. 752/16 (artt. 8-32, per le amministrazioni statali in genere; artt. 33-41 per la magistratura in particolare), e in varie altre norme che l'hanno successivamente integrato e modificato (cfr. soprattutto d.P.R. 19-10-1977, n. 846, e 31-7-1978, n. 571): per quanto qui interessa é sufficiente ricordare le disposizioni sulla composizione delle commissioni giudicatrici dei concorsi (art. 21: devono essere composte da sei membri, tre di lingua italiana e tre di lingua tedesca, nell'ambito di particolari categorie di cittadini ivi indicate) e il principio (art. 20) in forza del quale la scelta della lingua in cui sostenere le prove del concorso é libera, nel senso che é indipendente dal gruppo di appartenenza.

Per quanto concerne gli impieghi regionali, provinciali e comunali, la ripartizione dei posti nelle corrispondenti amministrazioni viene effettuata in base alia composizione linguistica (accertata in base alle dichiarazioni di appartenenza al gruppo linguistico degli eletti, indipendentemente dal partito di appartenenza), rispettivamente, del Consiglio regionale (art. 15 1. reg 7-9-1958, n. 15), del Consiglio provinciale (artt. 29, 30 e 31 1. prov. le 3-7-59, n. 6) e dei Consigli comunali (in base ai rispettivi regolamenti comunali in forza dell'art. 61 Statuto). La proporzionale in questi impieghi veniva in passato considerata meno rígida in ragione delle deroghe consentite dall'art. 30 della legge prov. le n. 6/59, in forza del quale potevanoPage 131essere conferiti agli appartenenti ad altri gruppi i posti rimasti vacanti per mancanza di concorrenti o di concorren ti idonei del corrispondente gruppo; questa regola, detta «della flessibilità», è stata tuttavia resa assai più restrittiva dalla legge prov. le 25-6-76, n. 25 (oggi la deroga e consentita solo dietro autorizzazione della giunta provinciale e con recupero dei posti in sede di successive assunzioni di personale riferite alle stesse categorie, ruoli e carriere).

La proporzionale negli uffici statali non ammette invece alcuna deroga, e ciò è fon te sia di polemiche che di evidenti disservizi, per coprire i quali alcune amministrazioni autonome (come le ferrovie) provvedono mediante personale «comandato» proveniente da regioni limitrofe; occorre ricordare, peraltro, che alcune amministrazioni (quella dell'Interno per le carriere direttive, la pubblica sicurezza e il personale amministrativo del Ministero della difesa: cjr. art. 89.2 Statuto) sono escluse dall'applicazione della proporzionale. A titolo informativo occorre infine aggiungere che il pieno riequilibrio delle piante organiche secondo gli effettivi rapporti proporzionali sarà raggiunto solo nel 2002 (cjr. art. 46 d.P.R., n. 752-76); tuttora il personale delle amministrazioni statali situate nella provincia appartenente al gruppo italiano risulta infatti in netta maggioranza, essendo stato prevalentemente reclutato in un periodo in cui non trovavano applicazione le norme di cui si è riferito.

Oltre che dalle norme sulla proporzionale, il reclutamento del personale delle amministrazioni pubbliche (tutte: statali, provinciali, locali, autonome ecc.) è condizionato da una ulteriore forma di selezione linguistica, anch'essa tuttavia strutturata in forma assai diversa da quella prevista per i pubbíici impiegati della Valle d'Aosta,

Questa selezione mira ad assicurare l'effetiiva conoscenza delle due litigue nel pubblico impiego ed è stata introdotta dagli artt. 1-7 del d.P.R. 752/76 cit., sostituendo tutte le forme di accertamento della conoscenza delle lingue tedesca e italiana precedentemente stabilite da leggi statali, regionali, provinciali e dai regolamenti degli enti locali (cfr. art. 9 del d.P.R., n. 846/77 cit.): l'art. 1 del d.P.R., n. 752/76, stabilisce infatti che la conoscenza della lingua italiana e di quella tedesca, adeguata alle esigenze del buon andamento del servizio, costituisce «requisito per le assunzioni comunque strutturate e denominate ad impieghi nelle amministrazioni dello Stato, comprese quelle con ordinamento autonomo, e degli enti pubbíici in provincia di Bolzano».

L'accertamento del requisito avviene con le seguenti modalità: periodicamente é possibile sostenere, dinanzi a commissioni appositamente costituite (artt. 3 e 4) un esame al cui superamento con esito positivo consegue il rilascio di un attestato di conoscenza delle due lingue avente validità di sei anni (art. 4.4), il c.d. palentino di bilinguismo; le prove di esame sonó distinte per carriere (direttiva, di concetto, esecutiva, ausialiari, operai), ed hanno. difficoltà differenziata a seconda della camera: per lePage 132prime tre anzidette, le prove consistono in due prove scritte (traduzioni di testi dalle due lingue) e in una prova orale (conversazione nelle due lingue).

L'accesso ai concorsi (o, per chi è già impiegato pubblico, alle carriere. superiori) è subordinato al possesso dell'attestato del corrispondente livello: la particolarità di questa forma di selezione (nonché la sua differenza rispetto al sistema valdostano) consiste nella circostanza che la selezione linguistica avviene in un momento diverso e precedente (fino a sei anni prima) rispetto al momento del concorso. Si tratta di una forma di selezione assai severa, che presuppone, per gli attestati per la camera direttiva, una conoscenza delle lingue superiore a quella meramente «scolastica». Agli impiegati che sono in possesso del palentino di bilinguismo spetta l'indennitá di bilingüismo (art. 1 d.P.R, 846/77); in forza dell'art. 81.1 dello statuto, la provincia di Bolzano può assegnare ai comuni particolari finanziamenti.

Occorre infine ricordare alcune altre particolarità del rapporto di impiego pubblico nelle amministrazioni statali con sede nella regione connesse ai suddetti criteri di reclutamento: al personaje dei ruoli locali è garantita stabilitá almeno decennale (il trasferimento può aver luogo, su domanda, solo dopo dieci anni dall'immissione in servizio: art. H d.P.R. 752/76). Una regola assai discussa è quella stabilita all'art. 12 del d.P.R. cit., secondo cui «nei concorsi a posti dei ruoli locali hanno la precedenza i candidati idonei residenti da almeno due anni nella provincia di Bolzano»: si tratta di una misura analoga a quelle previste per gli impieghi statali nella Valle d'Aosta. In provincia di Bolzano, tuttavia, una disposizione di portata simile esiste anche per gli impieghi privad: l'art. 10.3 dello statuto (attuato dal d.P.R. 22-3-1974, n. 280) dispone che i residenti nella provincia di Bolzano hanno diritto alia precedenza nel collocamento al lavoro nella provincia stessa (senza distinzioni di anzianitá di residenza o di gruppo di appartenenza); un'altra norma tendente a scoraggiare l'immigrazione nella provincia è poi costituita dalla regola per cui l'esercizio del diritto elettorale attivo è subordinato alla residenza nella regione T.A.A. per almeno quattro anni ininterrottamente.

6. Cenni conclusivi Un rapido sguardo alla situazione delle altre minoranze

Dall'esame di questo insieme di disposizioni risulta evidente come la selezione linguistica del personale delle amministrazioni pubbliche avvenga, in Sudtirolo, serondo criteri completamente diversi rispetto a quelli utilizzati, allo stesso fine, in Valle d'Aosta. Anche in Sudtirolo, peraltro, le norme sulla selezione linguistica risultano strettamente dipendenti dal tipo di reeime dell'uso della lingua nei rapporti con la pubblica amministrazio-Page 133ne: al diritto all'uso esclusivo alla lingua materna sancito all'art. 100 statuto deve infatti necessariamente conseguire un effettivo bilinguismo altivo di tutto il personale pubblico, ciò che non è necessario, come si è visto, in Valle d'Aosta.

Il principio del separatismo linguistico accolto in Sudtirolo e non in Valle d'Aosta fa si che nelle due regioni anche per il reclutamento del personale scolastico si seguano criteri (di selezione linguistica) del tutto diversi; ma anche in questo caso si può dire che la scelta di detti criteri dipende in forma assai stretta dal tipo di ordinamento scolastico (rígidamente separato per lingua veicolare di insegnamento).

Più difficile risulta giustificare in relazione al regime dell'uso delle lingue l'istituto della proporzionale etnica, che, come si è detto, costituisce anch'essa una forma, seppur del tutto particolare, di selezione linguistica del personale: nell'ottica della garanzia dell'uso della lingua minoritaria la tecnica della riserva di posti risulta, per la veritá, uno dei tanti modi per ottenere un'amministrazione sicuramente bilingue, garantendo l'assunzione di personale che parla le due o più lingue ufficiali in quanto lingue materne di una parte del personale. Per certi profili, dunque, proporzionale e requisito del bilinguismo si sovrappongono e mirano entrambe ad ottenere lo stesso risultato.

Ma nel caso sudtirolese, caratterizzato dalla presenza di altri ed assai efficaci criteri di selezione linguistica del personales la proporzionale etnica assume tutt'altre finalità, ed in particolare quella di garantire l'accesso della minoranza agli uffici pubblici, la dove l'utilizzazione del solo criterio dell'accertamento della conoscenza delle due (o piü) lingue ufficiali assicura il bilinguismo dell'amministrazione ma non anche (per ragioni storiche, culturali e politiche connesse alle vicende di ciascuna minoranza) cbe i posti della amministrazione siano occupati, in parte almeno, da cittadini appartenenti alla minoranza.

A prescindere da qualsiasi considerazione circa la preferibilità del regime del bilinguismo totale o del separatismo linguistico, sotto il profilo poco sopra considerate l'ordinamento valdostano, che non si preoccupa di garantire l'accesso della minoranza di lingua francese agli uffici pubblici se non mediante un assai blando criterio di preferenza negli impieghi in favore dei residenti, presenta notevoli e ormai ben note lacune. Ma altrettanto evidenti dovrebbero risultare, a questo punto, i limiti propri del sistema accolto in Sudtirolo, che paga alti costi sia in termini di complicatezza del regime delle assunzioni pubbliche sia in termini di conflitti interetnici a causa della eccessiva rigidità dei meccanismi di funzionamento degli istituti ivi previsti. In questo senso si può dire, quasi a mó di battuta, che il regime ideale sarebbe costituito da una sorta di «mescolanza» di aspetti dell'uno e dell'altro ordinamento: ma una simile «mescolanza» per il momento, in Italia, appare assai lontana dal poter essere realizzata.

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Questa non ottimistica conclusione risulta avvalorata da un rapido sguardo alia situazione delle altre minoranze residenti in Italia.

Circa la legge generale sulle minoranze linguistiche, il testo anualmente all'esame del parlamento nulla dispone sotto il profilo che qui interessa. Per la veritá, le norme di tale progetto che prevedono l'istituzione di corsi di insegnamento delle lingue minoritarie inducono a pensare che qualcuno (le regioni o più probabilmente lo stato) dovrà prendere qualche decisione circa i sistemi di reclutamento del personale a ciò preposto. Uno dei primi progetti di legge genérale prevedeva anche l'apertura presso le amministrazioni locali di sportelli in lingua (ponendosi anche in questo caso la necessitá di reclutare personale idoneo), ma di tale misura non c'è traccia nell'ultimo testo «ufficiale» della proposta di legge.

Quanto poi, ad effettiva conclusione del discorso, alla situazione della minoranza slovena, essa risulta assai precaria a causa della mancata approvazione (in attuazione degli Accordi italo-iugoslavi di Osimo del 175) delle misure di tutela globale da tempo promesse e annunziate (su tali vicende, cfr. S. Bartole, «La tutela del gruppo linguístico sloveno tra legislazione e ammistrazione», in Cuta e Regione, 1980, 3, p. 58 ss.). A poco rileva che il diritto all'uso della lingua slovena sia ormai stato riconosciuto anche dalla Corte costituzionale (cfr. sent. 11-2-1982, n. 28, in Il Foro Italiano, 1982, I, 1815).

A fronte di tale contesto, può dunque apparire strano (ma in realta si tratta di un'ereditá del vecchio regime austríaco coltivata ed ulteriormente incrementata nel corso dell'occupazione alleata delle province di Trieste —fino al '54— e Gorma —fino al '47—) che con la legge (statale) 19-7-1961, n. 1.012, sia stato istituito un completo sistema, in aggiunta alle scuole in lingua italiana, di scuole «con lingua di insegnamento slovena», frequentate da qualche migliaio di studenti. Per il reclutamento del personale di tali scuole, che appaiono ispirate al principio del separatismo lingüístico, sono state emanate varie disposizioni, per lo più contenute nella eitata legge 1.012 del 1961 e successive integrazioni e modificazioni: anche gli insegnanti delle scuole elementan e medie slovene sono reclutati mediante appositi concorsi, riservati a candidati di lingua madre slovena che, beninteso, siano in possesso di tutti gli altri requisiti normalmente richiesti per l'accesso ai corrispondenti ruoli nazionali del personale scolastico.

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