Daño biologico, morale ed esistenziale nell'ambito dei danni riflessi da morte di un congiunto e da lesioni personali di un familiare

AutorGiovanna Visintini
Cargo del AutorProfessoressa Emerita Dipartimento di Diritto Privato, Internazionale e Commerciale Universitá degli studi di Genova
Páginas477-493

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1. Premessa sul quadro delle norme del codice civile che disciplinano la responsabilità per fatti illeciti

Il codice civile italiano come quello spagnolo non ha regolato il diritto al risarcimento dei danni ril essi che possono derivare ai congiunti superstiti in occasione della morte di un parente e neppure il diritto ai danni conseguenti alle lesioni personali di un familiare, i danni c.d. di rimbalzo dalla sfera della vittima primaria del fatto illecito (uccisione o lesioni personali) alla sfera dei congiunti (i francesi parlano di dommage par ricochet), danni che possono essere morali e patrimoniali. Pertanto è stata la giurisprudenza ad elaborare le regole del risarcimento attraverso a una lunghissima e risalente elaborazione di precedenti giudiziali. L’argomento della mia relazione attiene quindi a un settore di diritto creato dai giudici. A differenza del codice tedesco che come è noto contiene una disciplina molto restrittiva della legittimazione di agire dei congiunti nell’ipotesi di uccisione prevedendo che solo laddove vi è un legame parentale molto stretto per cui il familiare superstite può lamentare la perdita di un diritto al mantenimento dovuto per legge questi è abilitato a chiedere il risarcimento del danno da uccisione. Dunque si tratta nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano di un diritto di origine giurisprudenziale.

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Storicamente non si è mai dubitato della risarcibilità del danno non patrimoniale subito dai congiunti della vittima per i pregiudizi subiti a causa del decesso del familiare, mentre si è stentato a riconoscere il risarcimento ai congiunti del danneggiato in caso di lesioni non mortali.

Ma prima di entrare nel merito delle questioni che i giudici hanno dovuto specii camente affrontare nel settore dei danni subiti dai familiari della vittima del fatto illecito (uccisione o lesioni personali) conviene fare un breve l ash sulle norme che il codice civile italiano detta per disciplinare la responsabilità per fatto illecito almeno di quelle che vengono continuamente chiamate in causa più o meno correttamente nel settore che interessa il convegno.

La prima: art. 2043 rubricata “Risarcimento per fatto illecito”dispone:

Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno

.

In sintesi in commento a tale disposizione si può ricordare che la categoria concettuale del fatto illecito implica strutturalmente due elementi:

— un elemento oggettivo, il danno ingiusto;
— un elemento soggettivo, che consiste nella riferibilità ad un soggetto del fatto dannoso.

Questa struttura del fatto illecito ha una sua tradizione che risale alle prime codii cazioni del secolo scorso.

L’elemento oggettivo veniva reso con il termine iniuria, che nel linguaggio dell’epoca signii cava violazione del diritto altrui e che risaliva al diritto romano dove la materia era regolata dalla lex Aquilia. Da qui l’uso anche presso i giuristi odierni di dei nire “aquiliana” la responsabilità per fatto illecito.

La specii cità del nostro sistema è la menzione del requisito dell’ingiustizia che in altri sistemi legislativi non è esplicitato ma è presupposto dal legislatore e viene ricostruito dalla giurisprudenza.

Ma ai i ni del mio discorso sui danni è importante chiarire che la clausola generale dell’ingiustizia si riferisce come risulta chiaro dai lavori preparatori del codice italiano alla valutazione degli interessi e al compito che il legislatore ha assegnato ai giudici di selezionare quelli meritevoli di tutela. E dunque l’espressione danno che i gura nell’art. 2043 sta ad indicare non il pregiudizio risarcibile ma la lesione dell’interesse la c. d. iniuria. Come operano i giudici nello svolgimento di questo compito loro afi dato dal legislatore, cioè nello specii care il concetto d’ingiustizia del danno esula da questa relazione, ma è certo che nel nostro paese l’uso di questa formula per così dire aperta è piuttosto confuso e arbitrario sopratutto laddove i giudici nello svolgere questa valutazione attingono a valori che non sono desumibili dalla legge, ma da principi generali contenuti nella Costituzione.

Ma non vi è dubbio che al giudice è demandato il compito di determinare la sfera degli interessi la cui lesione integra un danno ingiusto.

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L’altra norma generale da richiamare è l’art. 1223 che è deputata a selezionare le conseguenze patrimoniali risarcibili del fatto illecito ed è in parte descrittiva laddove afferma implicitamente il principio della riparazione integrale. Il riferimento alle perdite e ai mancati guadagni fa capire che la disposizione si riferisce ai pregiudizi che hanno rilevanza economica.

Nel settore dei danni alla persona a rilevanza patrimoniale la giurisprudenza largheggia nel riconoscere il risarcimento dei pregiudizi (perdite e mancati guadagni) economici direttamente connessi alle lesioni personali o all’uccisione.

Infatti la giurisprudenza accorda non solo il rimborso delle spese di assistenza che si rendono necessarie in occasione delle lesioni, come quelle di cura, o degli emolumenti dovuti al personale assistente, o delle spese funerarie necessarie in occasione della morte, ma attribuisce anche ai i ni del risarcimento un valore economico alla perdita temporanea o permanente, parziale o totale, della capacità di lavoro e di guadagno.

Inoltre la giurisprudenza si è orientata, e si tratta di una tendenza che può dirsi consolidata, anche a considerare risarcibile il danno alla vita di relazione. Questo danno si estrinseca in una diminuzione o difi coltà della vita di relazione, e si ril ette sulle possibilità di collocamento e di sistemazione sociale ed economica del danneggiato.

Dobbiamo dire che, con il ricorso a questo strumento concettuale del cosiddetto danno alla vita di relazione, la giurisprudenza tende ad aumentare l’importo complessivo del risarcimento del danno patrimoniale, anche a prescindere dall’incidenza del fatto illecito sulla capacità lavorativa del soggetto.

Una sottospecie del danno alla vita di relazione è il danno estetico che si risolve, appunto, in un danno che pone il soggetto in condizioni d’inferiorità per quanto attiene i rapporti con il mondo esteriore e che, peraltro, può non incidere sulla capacità lavorativa del soggetto stesso.

Da sempre, inoltre, tutte le volte che vi sia coincidenza –e nel caso di omicidio e lesioni personali si tratta della regola– tra fatto illecito civile e fatto illecito penale, la giurisprudenza accorda il risarcimento del danno morale.

A questo proposito l’art. 2059 cod. civ. consente il risarcimento del danno non patrimoniale soltanto nei casi in cui la legge preveda specii camente la risarcibilità del danno stesso.

E il caso principale è quello previsto dall’art. 185 cod. pen. che prevede la conseguenza del risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale nel caso di reato
(v. lo riportato infra).

Il danno cui alludono queste norme consiste, secondo la giurisprudenza, nell’ingiusto perturbamento dello stato d’animo del soggetto che ha subìto la lesione e quindi si identii ca in un danno morale meramente soggettivo, in uno stato di sofferenza, di dolore, di ansia e di angoscia.

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Nel corso degli ultimi venti anni, la giurisprudenza ha ulteriormente ampliato il quantum del danno risarcibile in relazione all’uccisione ed alle lesioni personali, esprimendo la tendenza ad interpretare le norme del codice civile e del codice penale alla luce dei principi introdotti dalla Costituzione.

La Costituzione italiana contiene un articolo, l’art. 32, ove si riconosce garanzia al diritto alla salute.

La disposizione dice espressamente:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività

.

Ora, proprio questo riferimento alla salute, contenuto nella Costituzione, e non al diritto all’integrità i sica, o diritto all’incolumità individuale, di cui parlano i codici (vedi art. 5 cod. civ., art. 575 e seguenti cod. pen.), ha sollecitato la giurisprudenza ad una revisione ulteriore della visione patrimonialistica cui è ispirato il sistema delle regole del codice civile in materia di risarcimento del danno.

Si tratta dell’orientamento che va sotto il nome di giurisprudenza sul danno biologico, ovvero il danno subito dalla persona nella sua integrità psico-i sica risarcibile in quanto tale a prescindere dalla prova dell’incidenza della lesione sulle capacità di lavoro e di realizzazione nella vita sociale.

Tale orientamento, partendo dalla considerazione della disposizione costituzionale sul diritto alla salute da intendersi in un’accezione più ampia, rispetto al diritto all’integrità i sica, cui si riferisce l’art. 5 cod. civ., è pervenuto ad ampliare la tutela risarcitoria, correggendo la prassi del calcolo del danno proprio nel settore delle lesioni personali. In primo luogo questo orientamento afferma chiaramente che, nell’ipotesi di lesioni personali, il danno biologico va risarcito in sé e per sé, e cioè come pregiudizio autonomo a prescindere dalla effettiva incidenza sulla capacità lavorativa del soggetto leso. In secondo luogo, la tutela viene allargata ad interessi i no ad ora trascurati, per esempio alle perturbazioni e a quelle alterazioni causate all’individuo dal fatto illecito, tali da impedirgli non già di svolgere un’attività lavorativa, ma di attendere ad ordinarie occupazioni extra-lavorative e di esprimere la propria personalità.

Tale giurisprudenza sul danno alla persona...

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