Il concetto di Costituzione in senso materiale

AutorMaurizio Fioravanti
Páginas21-30

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Di solito, l’idea stessa della costituzione in senso materiale è associata al tentativo di reperire una dimensione della normatività profonda, precedente quella riconducibile alle norme statali formalmente vigenti. Per questo motivo, le dottrine della costituzione in senso materiale sono di solito poste in antitesi alle concezioni positivistiche del diritto, ed in genere a tutte quelle dottrine che

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tendono a ridurre il diritto, con la sua forza obbligante, alla legge dello Stato. In realtà, le cose sono un po’ più complesse. Proviamo ad esaminarle più da vicino.

Partiamo da una definizione nota della costituzione, formulata al culmine dell’età dominata dal positivismo giuridico. E’ quella di Georg Jellinek nella sua opera principale, la Allgemeine Staatslehre, data alle stampe proprio all’inizio del secolo ventesimo, nel 1900 : “ La costituzione dello Stato comprende i principi giuridici che designano gli organi supremi dello Stato e stabiliscono il modo della loro creazione, i loro reciproci rapporti, la loro sfera di azione, ed inoltre la posizione fondamentale dell’individuo di fronte al potere statale “1. Qui, il positivismo dominante sembra essere giunto ad un punto fermo, assolutamente centrale e tale da escludere l’idea stessa della costituzione in senso materiale : la costituzione esiste semplicemente perché esiste lo Stato, di cui essa regola gli organi, le loro reciproche relazioni e dunque la forma di governo, i modi della loro attività, ed infine, da ultimo, i limiti che sono posti a tale attività, dai quali si ricava lo spazio libero in cui si affermano i diritti degli individui. E’ dunque la costituzione a dover presupporre lo Stato, e non viceversa. Prima dello Stato non può esistere alcuna costituzione, né formale, né materiale.

Tutto sembra chiaro, ma non è così. Proprio perché il prius è lo Stato, diviene infatti decisivo affrontare in un certo modo il problema delle sue origini. Se alle origini dello Stato dovessimo trovare una nuda volontà politica, un potere costituente, un contratto tra gli individui più o meno facilmente rescindibile, tutto il sistema del Rechtsstaat ne sarebbe compromesso, scoprendo di essere edificato su basi fragili, del tutto instabili. Più nello specifico, ne uscirebbero gravemente compromessi gli stessi diritti degli individui : se il loro fondamento è nella autolimitazione dello Stato sovrano, secondo il noto schema jellinekeano della Selbstverpflichtung, e se tale atto è pura espressione di volontà, come non pensare che quella volontà possa essere successivamente altrettanto liberamente revocata ? Ma allora, su che cosa si fondano in ultima analisi i diritti degli individui ? Si può davvero concludere, in piena età liberale, che i diritti non sono altro che Reflexrechte, ovvero il mero risultato di un atto espressivo della volontà, e della sovranità, dello Stato ?

La risposta all’ultima domanda non poteva essere altro che negativa. Il positivismo giuridico applicato alle scienze dello Stato, per essere all’altezza del proprio tempo, per rispondere alla domanda di autorità e di stabilità, ma anche, e parallelamente, alla domanda di riconoscimento dei diritti degli individui, entrambe proprie dell’età liberale, doveva necessariamente costruire un’immagine della sovranità dello Stato di stampo non volontaristico, tale da svolgere una funzione sostanzialmente rassicurante. Si doveva perciò necessariamente pensare ad una sovranità storicamente determinata, espressione di un ordine giuridico di carattere oggettivo, su cui si fondavano, insieme a quella sovranità, gli stessi diritti degli individui. E’ dunque lo stesso positivismo giuridico di stampo statualistico, proprio al culmine della sua parabola, ad aver bisogno di un fondamento storicistico, ed insieme a questo della presupposizione di un ordine giuridico in qualche modo più ampio, ed anche più risalente, rispetto all’ordine determinato dalle leggi dello Stato. In

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altre parole, il secondo, ovvero l’ordine dato dalle leggi formalmente vigenti, valeva, ed era espressione di sovranità, in quanto rifletteva il primo, ovvero l’ordine dato dal diritto positivo storicamente fondato.

Del resto, lo stesso Jellinek, proprio negli anni in cui componeva la sua Allgemeine Staatslehre, significativamente si dedicava non poco alla storia, ed in particolare alle vicende dello Stato moderno. Qui Jellinek si schiera decisamente dalla parte di quelle versioni dello Stato moderno, che mettono in rilievo la sua permanente struttura dualistica, e dunque la presenza di un lato, accanto a quello della sovranità, che contiene una tradizione di potere limitato, con una precisa radice nel mondo delle libertà e dei privilegi medievali. C’è una componente specificamente germanica, legata al modello storico tedesco della relazione tra principe e ceti, e dunque ad una visione bipolare dello Stato moderno. Ma c’è anche altro. C’è anche la convinzione che i moderni diritti individuali siano stati in modo eclatante dichiarati dalla rivoluzione francese, nell’89, ma abbiano in realtà il loro vero e più solido fondamento nei Bill of Rights inglesi ed americani, per poi procedere a ritroso, e ritornare anche per questa via ai patti medievali, ed alla stessa Magna Charta. Così il modello richiamato da Jellinek non è certo più solo ‘ germanico ‘, collegandosi almeno alle esperienze di common law anglo-americane. E’ questo il modello del Rechtsstaat, o del rule of law, che si pone come modello ‘ giuridico’, in cui le libertà sono solidamente fondate nella storia ed altrettanto solidamente garantite dallo Stato, contro il modello opposto del giusnaturalismo rivoluzionario, che è invece integralmente ‘politico’, perché proclama solennemente i diritti degli individui, ma finisce poi per lasciarli all’arbitrio del legislatore e delle maggioranze politiche2.

Così, non stupirà il fatto che Vittorio Emanuele Orlando, proprio introducendo al lettore italiano l’opera di Jellinek, non manchi di richiamare la sua giovanile adesione alla Scuola Storica di Savigny3. Orlando non pensa genericamente al peso della storia, o al ruolo della scienza giuridica, che pure è un profilo essenziale nel rinvio a Savigny, ma alla prospettiva – evidentemente ancora aperta nel 1949, anno in cui Orlando scriveva - di una vera e propria dottrina dello Stato e della costituzione, che si è cercato di costruire, e che ancora si può rielaborare e perfezionare, partendo dalle basi che erano state poste proprio da Savigny. Orlando pensava qui certamente ai celebri primi paragrafi del primo volume del System des heutigen r?mischen Rechts di Savigny, che i giuristi italiani avevano conosciuto anche grazie alla traduzione di Vittorio Scialoja, del 18864. A questi paragrafi bisogna tornare per comprendere quanto il positivismo giuridico abbia bisogno di pensare la necessaria esistenza di un ordine giuridico in senso oggettivo. Come tra poco

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vedremo, è proprio in queste pagine che si trova la radice prima della dottrina della costituzione in senso materiale.

C’è un passo in questo senso di straordinaria rilevanza, che merita riportare per intero, nella lingua originale : “ Vor allem die Einzelnen nicht als solche, und nach ihrer Kopfzahl, sondern nur in ihrer verfassungsmässigen Gliederung den Staat ausmachen “5. Dunque, se c’è uno Stato, ed un’autorità capace di emanare diritto positivo vincolante, è perché nella storia si è prodotto qualcosa di più di un mero aggregato d’individui legati da vincoli contrattuali più o meno stringenti. Questo quid pluris ha una consistenza materiale. Con le parole di Savigny , è dato dalla “...

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