La disciplina della toponomastica in Italia: diversità di approcci giuridici e aspetti problematici nelle regioni a statuto speciale dell’arco alpino

AutorValeria Piergigli
CargoProfessore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nella Facoltà di Giurisprudenza della Università di Siena
Páginas151-182

Parole chiave: toponomastica; minoranze; regioni; normativa; tutela.

Page 153

1. Toponomastica e tutela delle minoranze linguistiche autoctone nell’ordinamento italiano: uno sguardo d’insieme

Nell’ordinamento italiano manca una regolamentazione giuridica, generale ed esaustiva, della toponomastica e dei criteri per l’attribuzione di nomi ai luoghi; la relativa disciplina risulta pertanto rimessa a normative statali piuttosto lacunose, talora risalenti al periodo fascista, ovvero a normative settoriali e stratificatesi nel tempo, nonché ad interventi delle autorità regionali e locali. Analoga frammentazione si rinviene nella disciplina concernente il mantenimento o il ripristino della toponomastica tradizionale come tecnica di protezione delle identità linguistiche minoritarie, storicamente insediate nei territori delle regioni sia a statuto ordinario che speciale.

Volendo tentare una ricognizione delle fonti normative statali sul tema, occorre muovere dal testo costituzionale. Il disposto dell’art. 133, 2° comma Cost. rinvia alla legge regionale l’istituzione nel proprio territorio di nuovi comuni, nonché la modifica delle loro circoscrizioni e denominazioni, previa acquisizione del parere delle popolazioni interessate. Inoltre, l’art. 116 Cost., novellato nel 2001 (l. cost. 3/2001), ha affiancato alle indicazioni in lingua italiana la traduzione in tedesco per il Trentino-Alto Adige/Südtirol e in francese per la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste. La rinnovata denominazione degli entiPage 154 territoriali regionali offre una formale consacrazione alle peculiarità storiche e linguistiche che avevano determinato da parte del costituente il riconoscimento a queste regioni della autonomia speciale. Per il resto, la riforma costituzionale del 2001, pur innovando al riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le regioni ordinarie, non ha apportato modificazioni al tema della tutela minoritaria né, più specificamente, a quello della toponomastica. Trova pertanto conferma l’orientamento consolidato della Corte costituzionale secondo cui la protezione delle minoranze linguistiche, più che una materia in senso tecnico da ascrivere alla potestà legislativa statale o regionale, costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale che limita e indirizza la legislazione regionale (sent. 312/1983). Si tratta di una lettura ancora attuale che peraltro trova conferma, proprio nel tema in esame, nella previsione dello statuto del Trentino-Alto Adige che fa obbligo al legislatore regionale e provinciale di rispettare gli interessi nazionali “tra i quali è compreso quello della tutela delle minoranze linguistiche locali” (art. 4).

Tra le fonti statali in tema di tutela minoritaria (anche) attraverso la toponomastica, la l. 302/1997, che ha dato esecuzione alla Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali (1995), incoraggia le Parti, nell’ambito dei rispettivi sistemi legislativi ed eventualmente d’accordo con altri Stati, ad utilizzare la lingua minoritaria nelle denominazioni locali e topografiche destinate al pubblico, qualora siano soddisfatte le condizioni costituite da una certa consistenza demografica della comunità minoritaria, dal suo radicamento in un’area geografica determinata e da una domanda sufficiente (art. 11, 3° comma). Non è invece stata ancora ratificata dall’Italia la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie (1992)1 che dispone, tra le numerose opzioni a carico degli Stati contraenti, l’impiego o l’adozione, congiuntamente alla denominazione nella lingua ufficiale, delle forme tradizionali e corrette della toponomastica nelle lingue regionali o minoritarie.

La legge per la protezione delle minoranze linguistiche storiche (l. 482/1999), che dopo un lungo e travagliato iter normativo ha finalmente dato attuazione in via generale all’art. 6 Cost.2, determinando tra l’altro il superamento dellaPage 155 distinzione consolidata tra minoranze linguistiche “riconosciute” e “non riconosciute”, prescinde, per l’operatività delle prefigurate misure di tutela — incluso il ripristino della toponomastica locale – dalla verifica (periodica o una tantum) della percentuale dei parlanti e si basa semplicemente sul dato territoriale. Previa delimitazione, secondo le modalità indicate nella legge, delle aree geografiche di riferimento, coincidenti con gli ambiti territoriali o subcomunali, i consigli comunali possono deliberare, in aggiunta ai toponimi ufficiali, l’adozione di toponimi conformi alle tradizioni e agli usi locali (art. 10 l. 482/1999)3. In senso analogo, la l. 38/2001 (v. infra § 5), a tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli-Venezia Giulia, dispone l’individuazione dei comuni, delle frazioni di comune, delle località e degli enti in cui l’uso della lingua slovena è previsto in aggiunta a quella italiana per le indicazioni toponomastiche (art. 10). A tali norme va aggiunta la previsione che attribuisce ai comuni la denominazione delle borgate e delle frazioni (art. 15, 4° comma, d. lgs. 267/2000, sostitutivo dell’art. 16, 2° comma, d.P.R. 616/1977).

Oltre alle fonti statali richiamate, svariate leggi regionali e numerosi statuti degli enti locali rivelano la crescente attenzione verso la tutela e promozione delle lingue minoritarie e delle rispettive comunità attraverso il rispetto e il recupero della toponomastica tradizionale, non senza prevedere talora l’istituzione di appositi organismi di supporto tecnico-scientifico4.

Page 156

Quanto alla scelta del criterio più idoneo per la trascrizione dei toponimi, la normativa statale e quella adottata dalle regioni, almeno a statuto ordinario, sottolinea il carattere aggiuntivo del toponimo locale rispetto al toponimo espresso in italiano, come nitidamente indicato dalla citata l. 482/1999. Pertanto, le denominazioni tradizionali possono essere collocate “in aggiunta” o “affiancate” a quelle espresse in lingua italiana, ovvero la località può essere indicata “anche” nell’idioma minoritario, facendosi rinvio alla disciplina contenuta negli statuti e nei regolamenti comunali, nonché al codice stradale5, con la garanzia della “pari dignità grafica” della denominazione indicata nella lingua italiana e nella lingua ammessa a tutela (art. 9 d.P.R. 345/2001, adottato in attuazione della l. 482/1999).

Resta il fatto che le scarne indicazioni normative, anziché giovare al recupero della toponomastica tradizionale e alla protezione delle comunità minoritarie, contribuiscono talora, soprattutto entro determinati contesti territoriali, ad alimentare le tensioni interetniche e ciò specialmente in considerazione di omissioni e inadempimenti da parte del legislatore locale, come si vedrà con riguardo al territorio della provincia di Bolzano.

2. Il diverso regime della toponomastica nelle regioni a statuto speciale dell’arco alpino: considerazioni introduttive

Per il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta il regime della specialità, come poc’anzi accennato, fu dettato in assemblea costituente da esigenze di tutela minoritaria, mentre motivazioni di ordine sociale ed economico sono state prioritariamente all’origine del conferimento della specialità al Friuli-Venezia Giulia6. Sebbene l’attualità di quel regime, disegnato nel 1948, sia ormai da tempo in discussione sia in sede politica che scientifica, non fosse altro per lePage 157 dinamiche che ormai da tempo stanno interessando l’ordinamento regionale italiano nel suo complesso, non c’è dubbio che le riforme della normativa costituzionale e di rango costituzionale intervenute nel 2001 (ll. cost. 2 e 3/2001) hanno mantenuto uno statuto giuridico differenziato per le regioni di diritto speciale, evidentemente in considerazione della perdurante presenza delle ragioni storiche, sociali e culturali che ne determinarono all’origine la costituzione.

E’ quanto si coglie ancora oggi con riferimento al Trentino-Alto Adige/Südtirol e alla Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, ove convivono con la popolazione di lingua italiana, accanto a meno numerosi gruppi alloglotti di antico insediamento, due consistenti comunità linguistiche autoctone, abitualmente ascritte al novero delle “minoranze nazionali”, le quali condividono il proprio patrimonio linguistico e culturale con un diverso Stato-patria – rispettivamente l’Austria e la Francia – in cui il loro idioma costituisce la lingua ufficiale nazionale. Si tratta della comunità di lingua tedesca, stanziata nel territorio della provincia di Bolzano, e della comunità francofona, residente in Valle d’Aosta. A conferma della scelta preferenziale del legislatore italiano per il principio di territorialità della tutela, il tedesco e il francese sono parificati dagli statuti di autonomia alla lingua italiana nei territori, rispettivamente, del Trentino-Alto Adige e della Valle d’Aosta (art. 99 st. Trentino-Alto Adige e art. 38, 1° comma st. Valle d’Aosta).

Dalla parificazione alla lingua di Stato discende il ricco catalogo delle misure positive di salvaguardia e promozione predisposte dalla normativa statutaria e di attuazione, nonché dalla legislazione regionale, e destinate ad operare, limitatamente ai luoghi di insediamento storico, nei differenti ambiti pubblici: dalla scuola ai rapporti con la pubblica amministrazione e l’autorità giudiziaria, ai media, alle attività economiche, culturali e sociali, alla toponomastica.

In particolare, uno studio giuridico della toponomastica in queste regioni non può prescindere dalla considerazione del differente modello prescelto per la tutela delle rispettive minoranze linguistiche. In proposito, l’opzione per il “separatismo linguistico” sottende in Trentino-Alto Adige l’intenzione di favorire la conservazione del gruppo minoritario evitandone l’assimilazione al gruppo economicamente e culturalmente più forte, mentre l’adozione del “bilinguismo totale” in Valle d’Aosta implica, all’opposto, la volontà di agevolare i contatti e l’integrazione culturale tra le differenti componenti nazionali nelle aree mistilingui. Si vedrà nel prosieguo dell’indagine che le scelte effettuate dal legislatore statutario nel settore della toponomastica possono non di-Page 158scendere in maniera automatica dall’accoglimento dell’uno o dell’altro modello, come dimostra l’obbligo espressamente sancito a garanzia del gruppo linguistico tedesco di rispettare la bilinguità nel territorio della provincia di Bolzano per la trascrizione dei toponimi – e dunque di impiegare congiuntamente le lingue italiana e tedesca – in deroga al criterio comunemente seguito del “separatismo linguistico”, sulla cui base si riconosce agli appartenenti al gruppo minoritario il diritto all’uso esclusivo del proprio idioma.

Il radicamento storico di svariate comunità linguistiche – slovena, friulana e germanofona – non ha invece determinato in Friuli-Venezia Giulia l’attribuzione del regime di coufficialità alle rispettive lingue regionali e minoritarie, limitandosi lo statuto speciale alla affermazione del principio della parità di diritti e di trattamento di tutti i cittadini a prescindere dal gruppo linguistico di appartenenza «con la salvaguardia delle rispettive caratteristiche etniche e culturali» (art. 3) e al riconoscimento della potestà legislativa concorrente della regione nel settore della toponomastica (art. 5, punto 19). E’ stato soprattutto il legislatore regionale ad imprimere, dalla metà degli anni ’90 del secolo scorso, un considerevole impulso alla tutela delle identità minoritarie, a ciò sospinto, oltre che dagli sviluppi del diritto internazionale delle minoranze, dalle sopraggiunte riforme costituzionali e legislative statali, rispettivamente concernenti l’ordinamento regionale e la protezione delle minoranze linguistiche storiche. In particolare, si vedrà come recenti interventi regionali abbiano offerto rinnovato vigore alla tutela sia della minoranza nazionale slovena, stanziata nei territori delle province di Trieste, Gorizia e Udine, che della comunità friulana, addirittura maggioritaria nella regione e stanziata in numerosi comuni delle province di Gorizia, Udine e Pordenone, giungendo ad alimentare il contenzioso costituzionale, come accaduto – tra l’altro – proprio in relazione alla disciplina della toponomastica in lingua friulana.

3. Toponomastica e gruppi linguistici in Trentino-Alto Adige/Südtirol: dal processo di italianizzazione al riconoscimento del bi-trilinguismo La normativa statutaria e di attuazione

La regolamentazione della toponomastica in Trentino-Alto Adige/Südtirol è strettamente connessa agli sviluppi storico-politici che interessarono la regione al momento della conclusione della prima guerra mondiale e agli interventi normativi realizzati durante il regime fascista. Dopo l’annessione all’Italia del Tirolo meridionale, territorio di tradizione linguistica tedesca,Page 159 con il nome di Alto Adige, l’avvento del fascismo determinava l’attuazione di un vasto programma diretto alla eliminazione del tedesco sia dalle scuole che dalla amministrazione comunale di Bolzano e promuoveva la italianizzazione dei nomi propri, dei cognomi, dei titoli nobiliari, oltre alla traduzione sistematica in lingua italiana dell’intera toponomastica locale tedesca e ladina. Il r.d. 800/19237, convertito nella l. 473/1925 mai formalmente abrogato, introduceva la toponomastica italiana modificando le denominazioni dei comuni e dei luoghi dei territori annessi e autorizzava il Ministero dell’Interno a pubblicare la lista definitiva dei nuovi nomi. Con il decreto ministeriale del 10 luglio 1940 veniva pertanto riconosciuto carattere ufficiale alle denominazioni contenute nella terza edizione del «Prontuario dei nomi locali dell’Alto Adige», pubblicato dalla Reale Società Geografica italiana8. In seguito, l’occupazione tedesca (settembre 1943-maggio 1945), pur senza eliminare la toponomastica italiana, determinava la reintroduzione di fatto delle denominazioni germaniche: le ordinanze del 17 settembre e del 27 settembre 1943 prevedevano infatti la facoltà di impiegare denominazioni bilingui per le amministrazioni comunali, all’ingresso e all’uscita delle località e nei centri abitati.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, alla regione Trentino-Alto Adige veniva concesso un regime speciale di autonomia, fondato sull’Accordo di Parigi del 1946 (c.d. Accordo De Gasperi-Gruber), il quale sanciva il principio della eguaglianza di diritti fra i cittadini di lingua italiana e di lingua tedesca residenti sia nella provincia di Bolzano che nei comuni bilingui della provincia di Trento. Al fine di salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico della popolazione tedesca, l’Accordo prevedeva, tra l’altro, l’uso della «nomenclatura topografica bilingue».

Quelle disposizioni venivano recepite tanto dal primo (l. cost. 5/1948) quanto dal secondo statuto di autonomia della regione (d.P.R. 670/1972). In particolare, il vigente statuto del 1972 sancisce la parificazione nella regione della lingua tedesca a quella italiana, salve le precisazioni ed eccezioni contenute agli artt. 99 e 100, ultimo comma, in conseguenza del fatto che l’italiano è laPage 160 lingua ufficiale dello Stato; include espressamente la «tutela delle minoranze linguistiche locali» tra gli interessi nazionali che il legislatore regionale deve rispettare nell’esercizio della potestà legislativa (art. 4); in adesione al principio del separatismo linguistico prevede l’uso disgiunto, salvo i casi previsti dalla normativa di attuazione (art. 100, 3° comma), delle lingue tedesca e italiana nei diversi settori pubblici, in modo da favorire la conservazione delle identità culturali minoritarie ed evitare fenomeni assimilazionistici. Il richiamato principio viene esplicitamente derogato in materia di toponomastica, ove trovano conferma le disposizioni del previgente statuto: così, l’art. 8, n. 2 ha ribadito la competenza legislativa primaria provinciale e l’obbligo della bilinguità nel territorio della provincia di Bolzano; l’art. 7 ha mantenuto la competenza della legge regionale per la istituzione di nuovi comuni, per modificare le loro circoscrizioni e denominazioni ad eccezione dei comuni espressamente enumerati all’art. 3 per la cui modifica occorrerebbe una legge costituzionale; l’art. 101 continua a disporre che le amministrazioni pubbliche «devono usare, nei riguardi dei cittadini di lingua tedesca, anche la toponomastica tedesca, se la legge provinciale ne abbia accertata l’esistenza ed approvata la dizione»; infine, l’art. 102 riafferma il diritto delle popolazioni ladine (di entrambe le province), tra l’altro, al rispetto della toponomastica locale. Quest’ultima disposizione è stata successivamente modificata per abbracciare, accanto alle popolazioni ladine, anche quelle mochene e cimbre dei comuni espressamente indicati della provincia di Trento come titolari del diritto al rispetto della toponomastica locale e delle rispettive tradizioni9.

Resta fermo il principio secondo cui, nelle materie attribuite alla competenza della regione o delle province – e la determinazione della toponomastica rientra fra queste, in base ai rispettivi ambiti di intervento – continuano ad applicarsi le leggi dello Stato fino a quando non sia diversamente disposto con leggi regionali o provinciali (art. 105)10.

Sul piano della attuazione statutaria, il d.P.R. 574/195111 ha riconosciuto la facoltà di impiegare nella toponomastica locale delle valli ladine, oltre allePage 161 lingue italiana e tedesca, anche il ladino, consentendo in tal modo, limitatamente a quelle località, la realizzazione di una toponomastica trilingue (art. 73); il d.lgs. 526/198712, rivolto alla estensione alla regione e alle province autonome delle prescrizioni contenute nel d.P.R. 616/1977, esplicitamente esclude la competenza dei comuni siti nelle province di Trento e Bolzano nelle materie riservate alla regione e alle province (art. 15). Più in generale, il d.lgs. 574/198813 (e successive modificazioni) ha confermato la parificazione della lingua tedesca a quella italiana nella regione (art. 1) e l’uso congiunto delle due lingue, tra l’altro, per gli atti destinati alla generalità dei cittadini (art. 4, 1° comma). In tale categoria di atti possono farsi rientrare anche le denominazioni di luoghi o edifici di rilievo pubblico, nonché la segnaletica stradale14.

Per parte sua, la l. 482/1999, sopra richiamata, ha confermato la normativa di tutela dettata nelle province di Trento e Bolzano nei diversi settori pubblici, rinviando a norme di attuazione statutaria l’applicazione delle misure eventualmente più favorevoli previste dalla legge stessa, con riguardo – per quanto qui interessa – alle popolazioni germaniche e a quelle parlanti il ladino (art. 18)15.

3.1. Gli interventi del legislatore regionale e dei legislatori provinciali: a) la disciplina nella provincia di Trento

Prima di esaminare l’attuazione in sede locale dei disposti statutari, occorre tentare di chiarire il rapporto tra la fonte legislativa regionale e le fonti legislative provinciali, rispettivamente competenti in Trentino-Alto Adige/Südtirol ad istituire nuovi comuni, a modificare le loro circoscrizioni e denominazioni con l’obbligo di sentire le popolazioni interessate (art. 7) e a disciplinare la toponomastica con il vincolo di rispettare la denominazione bilingue nel territorio della provincia di Bolzano (art. 8, n. 2).

Page 162

In primo luogo, va precisato che l’art. 7 dello statuto intende riferirsi a tutti i comuni indistintamente, dovendo pertanto respingersi l’interpretazione strettamente letterale della disposizione che sembrerebbe limitare la competenza regionale ai soli comuni di nuova istituzione e finirebbe per sottrarre la regolamentazione delle circoscrizioni e delle denominazioni dei comuni già esistenti a qualunque altro intervento normativo, con la conseguenza paradossale che tali ambiti rimarrebbero immodificabili, non potendo – secondo l’interpretazione prospettata – per essi intervenire la legge regionale ai sensi dell’art. 7, ma nemmeno potendo immaginarsi un’altra fonte competente a regolare unitariamente sia le circoscrizioni che le denominazioni comunali.

In secondo luogo, non dovrebbe dare adito a dubbi l’apparente diversità – nelle due disposizioni in esame – della materia oggetto di disciplina legislativa: infatti, le “denominazioni” dei comuni, di cui all’art. 7, rientrano nel più ampio settore della “toponomastica” di cui al successivo art. 8, n. 2. Pertanto, la corretta lettura del combinato disposto normativo dovrebbe essere nel senso di riconoscere alla legge provinciale la competenza generale a regolare la toponomastica locale, cioè la totalità delle denominazioni dei luoghi ricompresi nel territorio provinciale, ad eccezione delle denominazioni dei comuni che invece ricadrebbero nella disciplina della legge regionale16. A conferma delle suesposte argomentazioni, già la Corte costituzionale all’epoca della vigenza del primo statuto di autonomia, le cui disposizioni per le parti che qui interessano sono state ribadite nella stesura del 1972, aveva affermato che la “toponomastica” comprende «la denominazione di qualsiasi specie di luogo» e che «la determinazione dei toponimi relativi alle frazioni deve rimanere preclusa alla Regione T.A.A., perché assorbita nella potestà generale di disciplina affidata alle Province, la quale, ..., non può non estendersi ad ogni specie di nomi di località, con la sola esclusione di quelli dei Comuni» (sentenza 28/1962).

Page 163

Ciò premesso, resta da definire se la legge regionale debba limitarsi alla istituzione, denominazione e variazione di singoli comuni in fattispecie determinate ovvero se possa spingersi fino alla regolamentazione dell’intera toponomastica comunale. Se sotto il primo profilo, numerose sono state ad oggi le leggi regionali adottate in ottemperanza all’art. 7 dello statuto, qualche profilo di problematicità si è posto invece con riguardo alla possibile estensione della materia oggetto della disciplina regionale. A questo proposito, vengono in considerazione due identici disegni di legge regionali di iniziativa consiliare presentati nel 1999 (d.d.l. 5/1999) e nel 2006 (d.d.l. 29/2006): in occasione della presentazione del primo disegno di legge, l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento, appositamente interpellata, pur non celando alcuni motivi di perplessità, si esprimeva in senso favorevole alla iniziativa regionale ritenendo ammissibile la facoltà della regione di dettare una disciplina generale per i toponimi comunali17. Sotto il profilo dei contenuti, entrambe le proposte, oltre a disporre l’abrogazione della normativa statale (r.d. 800/1923) e l’istituzione nella provincia di Bolzano di una commissione consultiva per la toponomastica, introducevano la soglia del 20% di consistenza di ciascun gruppo linguistico (italiani, tedeschi, ladini) a livello comunale, secondo le risultanze dell’ultimo censimento della popolazione, come requisito per la denominazione ufficiale dei comuni nella propria lingua. Il criterio della consistenza dei gruppi linguistici valeva inoltre a stabilire l’ordine di successione dei toponimi nella segnaletica stradale e nella indicazione delle località geografiche.

Anche ad ammettere la competenza della legge regionale a regolare l’intera toponomastica comunale, i disegni di legge richiamati contraddicono il principio fondamentale secondo cui nel territorio della provincia di Bolzano le indicazioni topografiche devono essere – sempre – bilingui, cioè a prescindere dalla consistenza demografica del gruppo linguistico. Qualunque deroga si tradurrebbe nell’inadempimento di un obbligo internazionale e nella violazione di una espressa disposizione statutaria che ha rango di legge costituzionale18. Infatti, nelle suddette iniziative, non soltanto la previsione di una per-Page 164centuale minima di parlanti la lingua minoritaria costituisce il presupposto per il riconoscimento del diritto all’uso di toponimi bilingui, ma – conseguentemente – il mancato raggiungimento di tale quota comporta l’indicazione ufficiale della denominazione del comune esclusivamente in forma monolingue.

Quanto alle iniziative assunte in ambito provinciale, la situazione nel territorio della provincia di Trento è sensibilmente diversa da quella tuttora riscontrabile nella provincia di Bolzano. La provincia di Trento, sul cui territorio risiedono comunità ladine, mochene e cimbre, si è avvalsa della competenza legislativa primaria assegnatale dall’art. 8, n. 2 dello statuto fin dal 1952 per dettare una disciplina generale in materia di toponomastica19 e, successivamente, per istituire il Dizionario toponomastico trentino che univa alle finalità culturali quelle strettamente pratiche e dirette ad offrire ai comuni della provincia uno strumento per la corretta denominazione del territorio20. Successivamente, e ferme restando le denominazioni ufficiali attribuite in base alle vigenti disposizioni in materia, veniva prevista la facoltà per le amministrazioni comunali di affiancare alle suddette denominazioni i toponimi tradizionalmente usati in sede locale21.

Tali normative venivano abrogate e sostituite dalla l. prov. 16/1987 (Disciplina della toponomastica), che ribadiva le finalità e l’oggetto del Dizionario toponomastico trentino e dedicava l’intero Capo III alla regolamentazione della toponomastica ladina nella provincia di Trento con la possibilità, limitatamente al comprensorio ladino di Fassa, di esprimere nella sola forma ladina le denominazioni di frazioni, strade, piazze, edifici pubblici. In seguito, quella normativa veniva modificata al fine di estenderne l’applicazione alle popolazioni mochene e cimbre della provincia e, in particolare, è stato previsto l’uso congiunto per una medesima località delle denominazioni ladina, mochena o cimbra e italiana in base alle individuazioni contenute nel repertorio dei toponimi, nonché l’impiego della sola denominazione mochena o cimbra per lePage 165 località situate nei territori dei comuni di Fierozzo, Frassilongo, Palù del Fersina e Luserna (art. 17 l. prov. 7/2004)22.

Più recentemente è sopraggiunta la l. prov. 6/2008 (Norme di tutela e promozione delle minoranze linguistiche locali) che, con l’intento di conferire unitarietà e organicità alla disciplina delle tre comunità linguistiche, è nuovamente intervenuta anche sul tema della toponomastica. La provincia di Trento approva e aggiorna, per ciascuna minoranza linguistica e dopo aver sentito la rispettiva commissione toponomastica, il repertorio dei toponimi «che comprende per le singole località la denominazione in lingua minoritaria e la corrispondente denominazione in lingua diversa da quella di minoranza della quale si renda opportuno il mantenimento in quanto diffusamente conosciuta a livello nazionale o internazionale» (art. 19, 3° comma); i repertori sono pubblicati nel bollettino ufficiale della regione e costituiscono parte del Dizionario toponomastico trentino. Ad eccezione delle denominazioni dei comuni (art. 3)23 e delle indicazioni stradali nei territori di insediamento minoritario, che devono essere espresse nella lingua di minoranza e in italiano con pari dignità grafica, viene confermato l’impiego in via preferenziale della sola lingua minoritaria per le indicazioni e segnalazioni che si riferiscono a località e toponimi delle singole comunità ladina, mochena o cimbra (art. 19, 6° e 7° comma). A seconda della comunità di appartenenza, l’approvazione delle denominazioni delle frazioni, nonché delle deliberazioni comunali relative alle denominazioni di strade, piazze ed edifici pubblici, spetta al Comun general de Fascia24 ovvero alla giunta provinciale, sentiti i pareri delle rispettive commissioni toponomastiche.

Page 166

3.2. Segue: b) la mancanza di disciplina nella provincia di Bolzano

Profondamente differente è la situazione della toponomastica nella provincia di Bolzano, ove – al di là della legislazione di carattere generale in tema di toponomastica urbana25 – non è stata ancora data attuazione agli artt. 8, n. 2 e 101 dello statuto, sebbene nelle diverse legislature non siano mancati proposte di legge, dichiarazioni programmatiche, accordi di coalizione siglati dalle forze politiche, audizioni di esperti che hanno contribuito a mantenere acceso sia a livello istituzionale che nella popolazione locale il dibattito su un tema in apparenza di rilievo pressoché esclusivamente culturale e di costume, ma in realtà con notevoli ricadute sul piano politico e sociale. Nel territorio della provincia, oltre ai ladini, gli italiani costituiscono un gruppo minoritario racchiuso entro la più cospicua comunità di lingua tedesca. Lo statuto comunque, fin dalla sua stesura originaria, ha preferito alla espressione “minoranze linguistiche” quella di “gruppi linguistici” cui riconosce una limitata soggettività giuridica26, sempre che non utilizzi riferimenti espressi alle “popolazioni ladine” ovvero ai “cittadini di lingua tedesca”. Con tale scelta il legislatore statutario ha voluto sottolineare il carattere tendenzialmente paritario delle comunità di lingua italiana e tedesca e, in particolare, ha inteso assicurare alla componente tedesca della popolazione altoatesina un regime speciale di protezione, in applicazione di precise norme internazionali a loro volta scaturite da ben note vicende storiche.

Le proposte di legge provinciale, variamente promosse dalle forze politiche sia di maggioranza che di opposizione27 e susseguitesi con continuità ma senza esito dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, si sono concentrate essenzialmente su tre profili: in primo luogo, la disciplina per l’accertamento dell’esistenza e della dizione dei toponimi in lingua tedesca e ladina, con contestuale abrogazione ovvero mantenimento della normativa statale vigente, salvo eventuali modificazioni da deliberarsi con legge provinciale e su proposta di apposite commissioni di esperti; in secondo luogo, la istituzione di commissioni o consulte provinciali per la toponomastica incaricate di stabilire i criteri scientifici e metodologici da seguire nelle ricerche toponomastiche e nellaPage 167 determinazione dei toponimi ovvero l’impiego della consulta per l’etnografia e la toponomastica prevista dalla l. prov. 26/1975 non senza rinvio alle raccomandazioni adottate dalle Nazioni Unite28; infine, la ripartizione delle attribuzioni in materia tra la provincia e i comuni. Su tale ultimo aspetto insiste il gruppo Südtiroler Volkspartei (SVP) che propone la distinzione tra macro e microtoponomastica: mentre la prima comprenderebbe «l’insieme dei nomi dei paesi e tutti i nomi geografici dei corsi d’acqua e delle montagne del territorio della provincia di Bolzano», la seconda si riferirebbe ai «nomi di frazioni, di insediamenti sparsi e di abitati, di terreni, di ruscelli e simili ...» (art. 1, rispettivamente, 5° e 6° comma d.d.l. prov. 92/1991 e d.d.l. prov. 183/1992)29. La macrotoponomastica dovrebbe essere regolata dal legislatore provinciale, diversamente dalla microtoponomastica rispetto alla quale i comuni dovrebbero poter decidere autonomamente, su delega della provincia, se impiegare per i luoghi geografici esistenti nel loro territorio denominazioni monolingui, bilingui o trilingui. Risulterebbe così superata ogni possibile controversa interpretazione della clausola che impone il bilinguismo; infatti, proprio il disaccordo sulla lettura di tale clausola, in apparenza nitida e chiara, è da tempo di ostacolo alla regolamentazione della toponomastica nella provincia di Bolzano. Secondo la maggior parte dei rappresentanti politici della popolazione tedesca (in particolare, la SVP), infatti, il rispetto dell’obbligo statutario del bilinguismo non postulerebbe l’apposizione di doppie denominazioni, bensì la garanzia di conservazione dei soli toponimi realmente esistenti nelle lingue italiana e tedesca30.

Nei disegni di legge presentati, non si è mancato di soffermarsi sulla opportunità di considerare anche la consistenza dei diversi gruppi linguistici, tornandosi a proporre un criterio percentuale per la scelta dell’ordine di succes-Page 168sione da osservare nelle denominazioni bilingui o trilingui scientificamente accertate31.

Alla proposta distinzione tra macro e microtoponomastica si è sempre opposto il gruppo consiliare di Alleanza nazionale: sul presupposto che la toponomastica non può non essere considerata una categoria unitaria e che qualunque tentativo di suddivisione si traduce in una violazione dei principi statutari e dei criteri indicati dalle Nazioni Unite, veniva suggerita l’istituzione di due commissioni di esperti con il compito di accertare i toponimi rispettivamente in lingua tedesca e ladina da approvarsi con legge provinciale, prevedendosi altresì la facoltà per la provincia di Bolzano di irrogare sanzioni amministrative in caso di violazione della normativa riguardante l’applicazione della toponomastica italiana, tedesca e ladina (d.d.l. prov. 106/2006)32.

L’omesso intervento a tutt’oggi del legislatore della provincia di Bolzano determina, sul piano giuridico, il mantenimento in vigore della normativa adottata in epoca fascista e più sopra richiamata, che cesserà di trovare applicazione, in base all’art. 105 dello statuto, soltanto a seguito dell’(eventuale) emanazione della legge provinciale in materia33.

Page 169

4. Toponomastica e tutela della comunità francofona in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste: la tradizionale accettazione del monolinguismo francese

Sicuramente meno problematica è la percezione sociale delle questioni connesse alla attribuzione di nomi alle località nel territorio della regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste. La regolamentazione della “toponomastica” rientra tra le competenze attribuite dallo statuto alla potestà legislativa primaria della regione (art. 2, lett. v); inoltre, con una formula riecheggiante il disposto dell’art. 133, 2° comma Cost., sempre alla legge regionale spetta nella Valle la facoltà di istituire, previa consultazione delle popolazioni interessate, nuovi comuni nei loro territori, nonché di modificare le loro circoscrizioni e denominazioni (art. 42).

Diversamente dal regime giuridico della toponomastica nella provincia di Bolzano, in Valle d’Aosta non vige la condizione della bilinguità, dal momento che il generale accoglimento del principio del “bilinguismo totale” postula l’equivalenza fra l’uso della lingua ufficiale nazionale e della lingua minoritaria nei rapporti con le pubbliche autorità. A questo proposito, basti pensare che gli atti pubblici possono essere redatti nell’una o nell’altra lingua senza bisogno di traduzione, ad eccezione dei provvedimenti giudiziari per i quali è richiesta la lingua italiana (art. 38), o ancora che, in materia di istruzione scolastica, alle due lingue parlate nella regione è dedicato un pari numero di ore settimanali di insegnamento con la possibilità di impiegare come lingua veicolare il francese per impartire l’insegnamento di alcune materie (art. 39)34. Pertanto, si presume che nel territorio della Valle i cittadini conoscano sia la lingua italiana che quella francese e siano capaci di comprendere e utilizzare l’una e l’altra indifferentemente. In altre parole, il perfetto bilinguismo (totale o integrale, appunto) non richiede – come invece in Trentino-Alto Adige/Südtirol – la garanzia della distinzione della popolazione in gruppi linguistici né l’impiego disgiunto dei due idiomi nei diversi settori pubblici. Da ciò consegue che l’applicazione pressoché generalizzata del monolinguismo francese nella toponomastica non ha mai generato problemi di convivenza tra le due comunità né alimentato particolari tensioni sociali.

Page 170

Va altresì considerato che, se la politica di italianizzazione imposta dal fascismo non risparmiò nemmeno questo territorio con conseguente soppressione di alcuni comuni e ridenominazione di numerosi altri, i nomi delle località valdostane sono tradizionalmente sempre stati espressi nella sola lingua francese, con l’unica eccezione per il capoluogo della regione che è indicato con doppia denominazione ufficiale (Aosta-Aoste) (art. 1, 3° co. l. reg. 61/1976)35. Ai sensi della citata normativa, le denominazioni ufficiali dei villaggi, delle frazioni e delle località sono stabilite con decreto del presidente della giunta regionale, previa deliberazione della giunta e previo parere dei consigli comunali interessati, nonché della commissione consiliare permanente per gli affari generali e le finanze, mentre è facoltativa l’acquisizione da parte della giunta regionale del parere di esperti e di una commissione per la toponomastica locale (art. 2 l. reg. 61/1976).

A conferma di tale retaggio storico e sulla base di quanto disposto dal decreto legislativo luogotenenziale 545/1945, il presidente del consiglio della Valle sanciva nel 1946 il ripristino delle denominazioni originarie delle località che erano state modificate durante il fascismo e provvedeva alla ricostituzione dei comuni soppressi, nonché alla riannessione delle frazioni ai comuni dai quali erano state precedentemente staccate36.

5. Toponomastica e tutela minoritaria in Friuli-Venezia Giulia: in particolare, la disciplina della toponomastica slovena e friulana

Pur non essendo rimaste affatto estranee al costituente le esigenze della tutela minoritaria in questa regione, come dimostra la X disp. trans. della Costituzione,37 lo statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia (l. cost. 1/1963), come accennato, a parte la disposizione di principio racchiusa nell’art. 3, non contiene previsioni specificamente dedicate alla protezione dei gruppi alloglotti e tanto meno ai criteri per le denominazioni dei luoghi. Gli unici riferimenti, espresso il primo e meramente implicito il secondo, sono quelli relativi al ri-Page 171conoscimento in capo alla regione della competenza legislativa concorrente38 per la regolamentazione della toponomastica (art. 5 statuto) e della corrispondente competenza amministrativa a seguito del trasferimento da parte dello Stato (art. 8 statuto e art. 8 d.P.R. 834/1966).

A fronte delle scarne indicazioni statutarie, il contesto sociale e linguistico in questa regione è estremamente variegato e risente delle vicende storiche che dal secondo dopoguerra hanno contrassegnato l’area geografica in esame. A questa disomogeneità e ricchezza del patrimonio culturale ha corrisposto per lungo tempo un diverso approccio al tema della tutela minoritaria da parte del legislatore, statale e regionale, approccio che ha trovato conferma e sostegno nella giurisprudenza costituzionale39. Mentre infatti la minoranza nazionale slovena – e specialmente la porzione residente nelle province di Trieste e Gorizia – godeva dello status privilegiato di “minoranza riconosciuta”, in quanto regolata da normative di carattere internazionale (Memorandum di Londra, 1954; Trattato di Osimo, 1975), di rango costituzionale (statuto speciale di autonomia), oltre che da una cospicua sebbene disorganica serie di atti normativi e amministrativi statali, alla minoranza friulana, che non poteva fare affidamento su analoghe fonti di regolamentazione, tutto questo era negato e ad essa – in quanto “minoranza non riconosciuta” – si rivolgevano ben più modesti interventi di carattere finanziario, limitati alla promozione degli aspetti (pur sempre importanti ma meramente) di carattere culturale. Con l’adozione della legge statale 482/1999, il divario che fino a quella data caratterizzava dunque il regime giuridico delle comunità slovena e friulana almeno teoricamente si è attenuato e, nella fase più recente, l’adozione di due leggi regionali, distinte per le due minoranze ma ispirate ai medesimi principi e di analogo contenuto, testimonia il perfezionamento della disciplina di tutela che, sotto certi aspetti, appare addirittura più avanzata e innovativa – e per questo motivo maggiormente problematica – in riferimento alla protezione e valorizzazione del friulano40.

Page 172

La regolamentazione della toponomastica nel territorio di insediamento della minoranza linguistica slovena risulta dall’intreccio di diverse normative anche risalenti nel tempo ma via via confermate da sopraggiunte iniziative del legislatore sia statale che regionale. Le previsioni originariamente introdotte nel citato Memorandum di Londra, allo scopo di assicurare agli appartenenti ai gruppi etnici italiano e jugoslavo, rispettivamente nella zona amministrata dalla Jugoslavia e dall’Italia, parità di diritti e di trattamento con gli altri abitanti, venivano mantenute in vigore dal successivo Trattato di Osimo. Pertanto, nei comuni sotto l’amministrazione italiana le iscrizioni sugli enti pubblici e i nomi delle località e delle strade devono essere indicate nella lingua del gruppo etnico jugoslavo, oltre che nella lingua dell’amministrazione, in tutti i distretti elettorali del comune di Trieste e negli altri comuni nei quali gli appartenenti al detto gruppo etnico costituiscono un elemento rilevante (almeno un quarto) della popolazione41. La legge statale 38/200142 ribadisce la vigenza di queste misure di tutela (art. 28, 1° comma) e prevede che con decreto del presidente della giunta regionale – sentiti gli enti interessati e su proposta del Comitato istituzionale paritetico per i problemi della minoranza slovena – è possibile utilizzare la lingua slovena, in aggiunta a quella italiana, «nelle insegne degli uffici pubblici, nella carta ufficiale e, in genere, in tutte le insegne pubbliche, nonché nei gonfaloni», per le indicazioni toponomastiche e la segnaletica stradale (art. 10). Ad ulteriore specificazione della normativa citata, la l. reg. 26/2007 (Norme regionali per la tutela della minoranza linguistica slovena) è intervenuta per disciplinare gli usi pubblici della lingua slovena e garantire il bilinguismo sloveno-italiano nelle insegne e nelle indicazioni esposte al pubblico di immobili che ospitano uffici e strutture pubbliche della regione, ubicati nel territorio di insediamento della minoranza slovena43Page 173 (art. 10, 6° comma); inoltre, è stato disposto, con efficacia sull’intero territorio regionale, che gli atti normativi regionali e tutti gli atti e documenti soggetti a pubblicazione nel bollettino ufficiale della regione riportino, accanto alle denominazioni italiane, le denominazioni slovene di comuni, province e frazioni (art. 12, 2° comma).

Più lineare risulta la normativa di riferimento con riguardo alla regolamentazione della toponomastica friulana, sostanzialmente incentrata oggi nella l. reg. 29/2007 (Norme per la tutela, valorizzazione e promozione della lingua friulana) alla quale vanno affiancate normative preesistenti e mantenute in vigore, relativamente alla delimitazione dei territori di insediamento delle comunità friulane, alla determinazione della grafia ufficiale della lingua friulana (rispettivamente, art. 5 e art. 13 l. reg. 15/1996) e alla competenza dei comuni per la denominazione dei toponimi minori (art. 25 l. reg. 10/1988). Secondo le nuove prescrizioni, nel territorio di insediamento friulano è prescritta la traduzione in lingua friulana con pari evidenza grafica dell’italiano di ogni indicazione di pubblica utilità (cartelli, insegne, supporti visivi) negli immobili sede di uffici e strutture operative di uffici degli enti locali e dei relativi enti strumentali, sia all’interno degli edifici che nelle scritte esterne e nei mezzi di trasporto (art. 10 l. 29/2007). Inoltre, la regione stabilisce, su proposta della agenzia regionale per la lingua friulana e d’intesa con i comuni interessati, le denominazioni ufficiali nella lingua friulana – comprensiva delle varianti locali – di comuni, frazioni e località; il presidente della regione approva le deliberazioni della giunta regionale riguardanti le denominazioni ufficiali dei toponimi e degli idronimi in lingua friulana; gli uffici degli enti locali e i loro enti strumentali operanti nel territorio di insediamento linguistico friulano delimitato dalla legge regionale sono obbligati ad utilizzare un regime bilingue italiano-friulano nella denominazione dei comuni, delle frazioni e delle località; la regione può stipulare convenzioni con altri soggetti pubblici e privati al fine di promuovere l’uso delle denominazioni ufficiali in lingua friulana. Infine, è data facoltà agli enti locali di scegliere, previa delibera dei rispettivi consigli elettivi, toponimi bilingui oppure toponimi espressi nella sola lingua friulana con la conseguente ufficialità della denominazione prescelta (art. 11 l. 29/2007). Oltre a svariate prescrizioni della l. 29/2007, la disposizione da ultimo citata (art. 11, 5° comma), in particolare per quanto qui interessa, è stata oggetto di impugnazione da parte del governo davanti alla Corte costituzionale, perché l’introduzione di una toponomastica monolingue friulana sarebbe in contrasto con l’art. 6 Cost. e con la l. 482/1999 che al precetto costituzionale ha dato attuazione, avendo il legislatore del 1999 previsto la pos-Page 174sibilità per i consigli comunali di deliberare toponimi conformi alle tradizioni e agli usi delle minoranze linguistiche storiche purchè, come dianzi accennato (supra § 1), in aggiunta ai toponimi ufficiali che sono espressi nella lingua italiana, a sua volta riconosciuta come lingua ufficiale nell’ordinamento italiano (v. esplicitamente art. l l. 482/1999)44. Effettivamente, la legge sulla lingua friulana non opera distinzioni di sorta nella variegata tipologia delle località geografiche da denominare e si limita a rinviare agli enti locali la determinazione nella sola lingua friulana dei toponimi genericamente intesi, sebbene – diversamente dal francese in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste – il friulano non goda in Friuli-Venezia Giulia della parificazione giuridica alla lingua italiana45. Probabilmente sarebbe stato più opportuno se, analogamente al legislatore trentino e alla previsione di denominazioni monolingui negli idiomi minoritari non ufficiali, fosse stato seguito un approccio differenziato a seconda degli oggetti da denominare. Così, ad esempio, si sarebbe potuta riservare la denominazione monolingue friulana alle località e ai toponimi della minoranza e mantenere invece il regime di bilinguismo per le indicazioni, come la segnaletica stradale, che prescindono dal radicamento storico della minoranza sul territorio e pertanto non sono espressive della identità culturale minoritaria.

6. Conclusioni: peculiarità dell’ordinamento italiano e cenni comparati

Come si è cercato di mettere in luce nelle pagine precedenti, nelle tre regioni di confine dell’arco alpino, i cui territori sono densamente popolati da comunità linguistiche autoctone, il panorama giuridico nel settore della toponomastica è alquanto variegato. In Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste l’applicazione pressoché generalizzata del monolinguismo francese nelle denominazioni delle località non ha mai determinato particolari problemi di coabitazione tra le comunità italiana e francofona ivi stanziate. Viceversa, in Trentino-Alto Adige/Südtirol la perdurante inattuazione dei disposti statutari ad opera del legislatore della provincia di Bolzano testimonia la difficoltà di compimento di un processo di riforma legislativa che spesso è all’origine di tensioni sociali e di un diffuso malcontento specialmente nella popolazione di lingua italiana. In Friuli-Venezia Giulia il legislatore regionale si è dimostrato invece par-Page 175ticolarmente attivo nella assunzione di iniziative volte a rafforzare la promozione delle lingue slovena e friulana nei diversi ambiti pubblici, non senza dare adito a dubbi di legittimità costituzionale in relazione – tra l’altro – alla prevista facoltà per gli enti locali di esprimere nella sola lingua friulana le denominazioni geografiche che assumerebbero a tutti gli effetti la connotazione di denominazioni ufficiali.

Si tratta peraltro di peculiarità – e problematicità – riscontrabili un po’ ovunque all’interno degli Stati europei contemporanei, più o meno abituati a confrontarsi con il fatto minoritario. Lasciando da parte l’ordinamento francese che, tradizionalmente piuttosto restio al riconoscimento delle situazioni minoritarie, rinvia alle collettività locali l’adozione eventuale di una segnaletica bilingue, la diversità di regolamentazione giuridica della toponomastica da parte dei singoli Stati è frutto in generale dei differenti approcci seguiti per la disciplina delle situazioni minoritarie (monolinguismo o bilinguismo, personalità o territorialità della tutela) e risente della configurazione di volta in volta prescelta per l’attribuzione di forme più o meno ampie di autonomia alle unità del decentramento. Tuttavia, tale diversità non impedisce di cogliere l’elemento di analogia, e in un certo senso unificante, che è costituito dalla tendenziale disponibilità dei pubblici poteri al recupero dei nomi di luogo tradizionali nei territori di insediamento storico delle comunità di lingua minoritaria.

Di primo acchito questo atteggiamento colpisce favorevolmente l’osservatore, specialmente a fronte della maggiore diffidenza riscontrabile in tutti quegli ambiti che implicano il riconoscimento di più impegnativi usi pubblici delle lingue minoritarie: dalla scuola ai rapporti con l’amministrazione e la giustizia fino alla scelta della parificazione giuridica alla lingua ufficiale dello Stato. A conferma di ciò si pensi, da un lato, alla generalizzata ratifica della disposizione contenuta nella Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, la quale impegna gli Stati firmatari, sempre che il numero dei parlanti lo giustifichi, a consentire o promuovere l’impiego o l’adozione, anche congiuntamente alla denominazione nella lingua ufficiale, di «forme tradizionali e corrette della toponomastica nelle lingue regionali o minoritarie» (art. 10, 2° comma, lett. g) e, dall’altro lato, alle riserve implicite nella mancata sottoscrizione delle numerose opzioni in cui si articola, nel testo della stessa disposizione, il contenuto del diritto all’uso della lingua della minoranza nel settore dei rapporti amministrativi e dei servizi pubblici.

Senonchè, l’impressione positiva scaturente dalla constatazione della diffusa inclinazione degli Stati, almeno in linea di principio, a valorizzare o comun-Page 176que a non ostacolare il ripristino della toponomastica tradizionale, a ciò incoraggiati sia da precisi obblighi internazionali che dalle raccomandazioni delle Nazioni Unite, non trova conforto in maniera altrettanto convincente e chiara sul piano pratico. Nell’ambito di numerosi contesti pluralistici e plurilingui, infatti, interventi normativi frammentari e lacunosi si sommano frequentemente ai ritardi nella fase di attuazione, determinando in sostanza la scarsa effettività delle discipline adottate. Si tratta di aspetti problematici che, se non risolti, non soltanto contribuiscono a rallentare la realizzazione di un profilo importante delle politiche linguistiche di tutela minoritaria, ma rischiano altresì di minacciare seriamente la pacifica convivenza intercomunitaria, generando episodi conflittuali anche accesi tra le diverse componenti sociali.

La toponomastica risulta essere un settore sensibile forse più di altri in considerazione della percezione visiva e immediata che offre della predisposizione o meno di un dato ordinamento nei confronti delle identità culturali minoritarie. L’apparente favor che l’esperienza comparata dimostra verso il ripristino della toponomastica storica può essere allora interpretato o come indice della scarsa consapevolezza del valore simbolico che i nomi dei luoghi negli idiomi minoritari rivestono per le comunità alloglotte oppure, all’inverso, come segno dell’avvertito impatto sociale che le decisioni politiche assumono in tale settore al punto da scoraggiare i pubblici poteri nella adozione di interventi reali ed efficaci di promozione e valorizzazione. In ogni caso, i toponimi finiscono per essere considerati – e tutelati – alla stregua di “beni culturali”, i profili tecnici connessi alla attribuzione o al ripristino delle denominazioni dei luoghi vengono sottovalutati e comunque la loro determinazione è di regola rinviata alla competenza delle autorità locali.

La difficoltosa attuazione delle normative adottate per la regolamentazione dei toponimi nelle lingue delle minoranze emerge con evidenza anche al di fuori dei confini italiani. Così, ad esempio, l’estrema delicatezza che connota le scelte in questo settore continua ad alimentare la conflittualità politica, oltre a quella sociale e territoriale, nella regione austriaca della Carinzia mentre in Stiria si mette addirittura in discussione l’esistenza di una minoranza autoctona. Analogamente, nella regione rumena della Transilvania la questione della toponomastica nelle lingue minoritarie è ancora aperta e in attesa di completa definizione, per tacere della situazione al momento quanto mai incerta del Belgio in cui la difficoltà di conciliare anche nella disciplina della toponomastica la libertà di lingua con il principio di territorialità e la radicalizzazione del nazionalismo linguistico sono al tempo stesso causa e conseguenzaPage 177 del carattere binazionale della società belga e rischiano di accelerare, unitamente a fattori di crisi politico-istituzionale, il processo di disgregazione dello Stato federale.

Considerazioni in un certo senso simili possono svolgersi per la Slovenia e la Croazia nei cui territori è storicamente insediata – e artificialmente divisa dopo la disgregazione della Jugoslavia – la comunità di lingua e cultura italiana. Ebbene, in Croazia palesi smentite alle normative di tutela sono intervenute nella fase immediatamente successiva alla assunzione di precisi obblighi internazionali (Memorandum di Intesa del 1992 e Trattato Italia-Croazia del 1996), come in occasione della cancellazione disposta nel 1997 dalle autorità croate delle scritte in italiano dalle schede elettorali nei comuni istriani ove vige il regime di bilinguismo e nella indicazione dei seggi per le elezioni amministrative del 2005 nella sola lingua croata. Per tacere della rimozione delle targhe in lingua italiana dal palazzo della regione, giudicata legittima dalla Corte costituzionale di Zagabria (sent. 23 gennaio 2003). In senso analogo, va ricordato che in Slovenia nella materia della toponomastica ancora oggi, e a dispetto della dettagliata disciplina dettata a garanzia delle comunità autoctone, non può dirsi cessata la pratica della introduzione di nomi geografici inventati o slovenizzati che si traducono, di fatto, in un attentato al patrimonio dei valori storici e culturali minoritari meritevoli di protezione e valorizzazione.

D’altra parte, persino nei contesti in cui la regolamentazione del fenomeno minoritario e della toponomastica tradizionale sembra essere abbastanza soddisfacente, miglioramenti sono sempre auspicabili soprattutto per eliminare o ridurre le incongruenze che talora si profilano sia sul piano delle previsioni normative che nella fase della loro concreta applicazione, come in Serbia ove peraltro le soluzioni adottate dalle unità di autogoverno locale sono state assunte opportunamente con la partecipazione dei rappresentanti delle minoranze nazionali interessate, o in Spagna dove la conclusione dell’avviato processo di riforma degli statuti di autonomia non mancherà di avere riflessi nel prossimo futuro sulla disciplina dei nomi dei luoghi, nell’ottica della valorizzazione delle diversità regionali che caratterizza lo Stato autonómico spagnolo46.

A prescindere allora dalle peculiarità che possono caratterizzare, anche all’in-Page 178terno di un medesimo ordinamento, le scelte assunte nel settore della toponomastica da parte dei livelli decentrati di governo, ciò su cui occorre insistere è la garanzia della effettività delle misure formalmente previste. Il raggiungimento di tale obiettivo richiede il sinergico adoperarsi sia delle autorità nazionali, statali e locali, che degli organismi sovranazionali preposti alla verifica periodica della implementazione degli impegni internazionali assunti e, in particolare, della Carta delle lingue regionali o minoritarie, nonché della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali. Infine, ma non per ultimo, per l’attuazione pratica dei disposti normativi continua ad essere determinante ovunque il ruolo delle stesse comunità di lingua minoritaria che con la loro attiva partecipazione ai processi decisionali che le riguardano possono concorrere ad impedire, anche attraverso l’impiego o la riscoperta della toponomastica tradizionale, che interi patrimoni di lingua e cultura vadano irrimediabilmente e definitivamente dispersi.

Bibliografia

Barbagallo, R., «Caratteri e vicende della toponomastica in Valle d’Aosta», in Diritto e società, n° 2, 1989.

Bartole, S., «Friuli-Venezia Giulia», in Nss. Dig. it. App., III, Torino, Utet, 1987.

Bartole, S., «Regione Trentino-Alto Adige», in Enciclopedia giuridica Treccani, XXVI, Roma, 1991.

Bartole, S., «Le norme per la tutela delle minoranze linguistiche storiche», in Le regioni, n° 6, 1999.

Bertolissi, M., «Regione Friuli-Venezia Giulia», in Enciclopedia del diritto, XXXIX, Milano, Giuffré, 1988.

Bertolissi, M.; Bin, R.; Marpillero, M., «Tra regioni speciali e regioni ordinarie: il caso del Friuli-Venezia Giulia», in Mor, G. (a cura di), Le autonomie speciali alla ricerca di una identità, Udine, ISGRE, 1988.

Bravi, F., Toponomastica italiana nella provincia di Bolzano, Bolzano, Centro di Studi Atesini, 1990.

Cesareo, P., L’autonomia della Regione Trentino-Alto Adige e delle province di Trento e Bolzano. Milano, Giuffré, 1957.

Cevolin, G., «Tutela delle minoranze linguistiche e toponomastica in Friuli-Venezia Giulia», in de Vergottini, G.; Piergigli, V. (a cura di), La toponomastica in Istria, Fiume e Dalmazia. Profili giuridici, vol. I, Firenze, Istituto Geografico Militare, 2009.

Cisilino, W., «The new regional law on the defence of the Friulan language», in Revista de Llengua i dret, n° 50, 2008.

Page 179

De Varennes, F., «Commentary to Art. 11 of the FCNM», in Weller, M. (ed.), The Rights of Minorities in Europe, Oxford, Oxford University Press, 2005.

De Vergottini, G., «Profili giuridici della toponomastica nella provincia di Bolzano», in Diritto e società, n° 4, 1986.

De Vergottini, G.; Piergigli, V. (a cura di), La toponomastica in Istria, Fiume e Dalmazia. Profili giuridici, cit.

Hilpold, P., «La regolamentazione della toponomastica in Trentino-Alto Adige», in Marko, J.; Ortino, S.; Palermo, F., L’ordinamento speciale della provincia autonoma di Bolzano. Padova, Cedam, 2001.

Italia, V., La denominazione nel diritto pubblico. Milano, Giuffré, 1966.

Malfatti, E., «La legge di tutela delle minoranze linguistiche: le prospettive e i problemi ancora aperti», in Rivista di diritto costituzionale, 2001.

Mastrelli, C. A. (a cura di), Odonomastica, Atti del Convegno, Trento, 25 settembre 2002, Trento, Provincia autonoma di Trento, 2005.

Mitolo, A.; Bravi, F., Aspetti politici e giuridici, storici e linguistici della toponomastica atesina. Bolzano, Centro di Studi Atesini, 1984.

Palermo, F.; Woelk, J., (2008), Diritto costituzionale comparato dei gruppi e delle minoranze, Padova, Cedam, 2008.

Palici di Suni, E., «La legge italiana sulla tutela delle minoranze linguistiche storiche nel quadro europeo», in Diritto pubblico comparato ed europeo, n° 1, 2000.

Palici di Suni, E., Intorno alle minoranze, Torino, Giappichelli, 2002.

Pallottino, M., «Toponomastica», in Enciclopedia del diritto, XLIV, Milano, Giuffré, 1992.

Pellegrini, G.B., Toponomastica italiana, Milano, Hoepli, 1991.

Piergigli, V., «La legge 15 dicembre 1999, n. 482 («Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche») ovvero dall’agnosticismo al riconoscimento», in Rassegna parlamentare, n. 3, 2000.

Piergigli, V. (a cura di), L’autoctonia divisa. La tutela giuridica della minoranza italiana in Istria, Fiume e Dalmazia, Padova, Cedam, 2005.

Pizzorusso, A., Le minoranze nel diritto pubblico interno, Milano, Giuffré, 1967.

Reggio D’Aci, E., La regione Trentino-Alto Adige, Milano, Giuffré, 1994.

--------

[1] Dopo la firma della Carta apposta il 27 giugno 2000, il d.d.l. di ratifica ed esecuzione era stato approvato dalla Camera e trasmesso al Senato nell’ottobre 2003, ove il procedimento si è interrotto (v. d.d.l. AS n. 2545).

[2] Ai sensi dell’art. 6 Cost., «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche». La l. 482/1999 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche) dispone all’art. 2 che «... la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelli parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo».

[3] Ai sensi dell’art. 3 della legge, la delimitazione delle aree territoriali nelle quali applicare le misure di tutela deve essere deliberata dai consigli provinciali interessati, su iniziativa di una percentuale della popolazione locale (anche non di lingua minoritaria) o di una minoranza del consiglio comunale ovvero – qualora nessuna delle indicate condizioni si verifichi – in base all’esito favorevole di una consultazione della popolazione residente (conformemente, v. anche art. 9 d.P.R. 345/2001 che ha dato attuazione alla l. 482/1999). Sull’iter e sui contenuti della l. 482, v., in dottrina: Bartole, S., «Le norme per la tutela delle minoranze linguistiche storiche», in Le regioni, n° 6, 1999, p. 1063 ss.; Palici di Suni, E., «La legge italiana sulla tutela delle minoranze linguistiche storiche nel quadro europeo», in Diritto pubblico comparato ed europeo, n° 1, 2000, p. 101 ss.; Piergigli, V., «La legge 15 dicembre 1999, n. 482 («Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche») ovvero dall’agnosticismo al riconoscimento», in Rassegna parlamentare, n. 3, 2000, pp. 623-657. Malfatti, E., «La legge di tutela delle minoranze linguistiche: le prospettive e i problemi ancora aperti», in Rivista di diritto costituzionale, 2001, pp. 109-141.

[4] Riferimenti specifici alla toponomastica nella produzione legislativa regionale, si trovano, ad esempio: nell’art. 6 l. Piemonte 26/1990 (Tutela, valorizzazione e promozione della conoscenza dell’originale patrimonio linguistico del Piemonte); nell’art. 1 l. Basilicata 40/1998 (Norme per la promozione e tutela delle comunità Arbereshe in Basilicata – Abrogazione della legge regionale 28 marzo 1996, n. 16); nell’art. 4, lett. e) l. Molise 15/1997 (Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale delle minoranze linguistiche nel Molise); nell’art. 2 l. Veneto 73/1994 (Promozione delle minoranze etniche e linguistiche del Veneto); nell’art. 15, 1° comma, lett. e) l. Calabria 15/2003 (Norme per la tutela e la valorizzazione della lingua e del patrimonio culturale delle minoranze linguistiche e storiche di Calabria); nell’art. 24 l. Sardegna 26/1997 (Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna). Sulla normativa adottata in materia dal Trentino-Alto Adige/Südtirol e dalle province autonome di Trento e Bolzano, dalla Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dal Friuli-Venezia Giulia v. infra nel testo.

[5] Il codice stradale vigente prevede la facoltà per gli enti locali di utilizzare «nei segnali di localizzazione territoriale del confine del comune lingue regionali o idiomi locali presenti nella zona di riferimento, in aggiunta alla denominazione in lingua italiana» (art. 37, 2° comma, d. lgs. 285/1992, aggiunto dall’art. 1 l. 214/2003 di conversione con modificazioni del d.l. 151/2003.

[6] Cfr., in proposito, Bertolissi, M., «Regione Friuli-Venezia Giulia», in Enciclopedia del diritto, XXXIX, Milano, Giuffré, 1988, p. 354; Bartole, S., «Friuli-Venezia Giulia», in Nss. Dig. it. App., III, Torino, Utet, 1987, p. 112; Bertolissi, M.-Bin, R.-Marpillero, M., «Tra regioni speciali e regioni ordinarie: il caso del Friuli-Venezia Giulia», in Mor, G. (a cura di), Le autonomie speciali alla ricerca di una identità, Udine, ISGRE, 1988.

[7] Determinazione della lezione ufficiale dei nomi dei comuni e di altre località dei territori annessi.

[8] La citata normativa si basava sul lavoro svolto tra il 1906 e il 1916 da Ettore Tolomei e sui risultati delle attività di una commissione nominata nel 1921 dal Governo Giolitti. L’italianizzazione dei toponimi, compresi quelli dei villaggi e delle località non urbane, era consistita nella traduzione dei nomi esistenti anche con adattamenti grafici e fonetici, nonché nella introduzione di nuove denominazioni in lingua italiana.

[9] V. art. 102 come modificato da art. 4 l. cost. 2/2001.

[10] Cfr. Reggio D’Aci, E., La regione Trentino-Alto Adige, Milano, Giuffré, 1994, pp. 292-293; Bartole, S., «Regione Trentino-Alto Adige», in Enciclopedia giuridica Treccani, XXVI, Roma, 1991, p. 3.

[11] Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige. Con riferimento alle regioni a statuto speciale, le c.d. norme di attuazione consistono in decreti governativi contenenti disposizioni dirette ad attuare i rispettivi statuti e a trasferire le funzioni amministrative e il personale dallo Stato alle regioni stesse. In materia di toponomastica, con riguardo al Trentino-Alto Adige/Südtirol, di tali normative di attuazione si dà conto infra nel testo.

[12] Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige ed alle Province autonome di Trento e di Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616.

[13] Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari.

[14] V., in proposito, sent. Tribunale regionale di giustizia amministrativa – Sezione autonoma per la provincia di Bolzano n. 537/2002 (http:www//giustizia-amministrativa.it/).

[15] In tal senso, ad es., art. 6 d.lgs. 261/2001(Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige recanti modifiche e integrazioni al decreto legislativo 16 dicembre 1993, n. 592, in materia di tutela delle popolazioni ladina, mochena e cimbra in provincia di Trento) dispone l’applicazione alla provincia di Trento delle norme della l. 482/1999 in quanto più favorevoli rispetto alle norme vigenti nella medesima provincia.

[16] Sulla interpretazione degli artt. 7-8 dello statuto speciale, v. il parere espresso dalla Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento in data 21 aprile 2000, su richiesta del consiglio della regione autonoma in merito al d.d.l. di iniziativa consiliare avente ad oggetto «Individuazione dei toponimi comunali nella Provincia autonoma di Bolzano – Proposta relativa alla toponomastica tesa a salvaguardare gli interessi di tutti e tre i gruppi linguistici del Sudtirolo» (d.d.l. 5/1999), su cui v. infra nel testo. In dottrina, cfr. de Vergottini, G., «Profili giuridici della toponomastica nella provincia di Bolzano», in Diritto e società, n° 4, 1986, p. 656; Cesareo, P., L’autonomia della Regione Trentino-Alto Adige e delle province di Trento e Bolzano. Milano, Giuffré, 1957, p. 193 e, con diversità di argomentazioni, Reggio D’Aci, E., La regione Trentino-Alto Adige , op. cit., p. 108 ss. e Hilpold, P., «La regolamentazione della toponomastica in Trentino-Alto Adige», in Marko, J.-Ortino, S.-Palermo, F., L’ordinamento speciale della provincia autonoma di Bolzano, Padova, Cedam, 2001, pp. 804-805.

[17] Parere del 21 aprile 2000, citato alla nota precedente. Di contrario avviso, Hilpold, P., «La regolamentazione della toponomastica in Trentino-Alto Adige», op. cit., p. 805, secondo il quale la modifica della denominazione di un singolo comune in una situazione specifica rimane di competenza regionale, mentre la regolamentazione della toponomastica è interamente di competenza provinciale; pertanto, secondo l’A., “la modifica della denominazione di un comune, pur avvenendo con legge regionale, deve essere compatibile con l’assetto generale della toponomastica dettato dalla Provincia”.

[18] In conseguenza delle previsioni racchiuse nelle due iniziative regionali, sarebbe stato ufficialmente reintrodotto l’uso dei toponimi tedeschi in 108 comuni sudtirolesi in cui il gruppo linguistico tedesco costituisce più del 20% della popolazione comunale, mentre in 16 comuni sarebbe stata mantenuta anche la denominazione italiana, superando il gruppo linguistico italiano la soglia indicata.

[19] L. prov. 2/1952 (Disposizioni in materia di toponomastica).

[20] L. prov. 2/1980 (Nuove disposizioni in materia di catalogazione del patrimonio storico, artistico e popolare del Trentino e del relativo inventario, istituzione del dizionario toponomastico trentino).

[21] Articolo unico l. prov. 43/1983 (Disposizioni in materia di toponomastica).

[22] Disposizioni in materia di istruzione, cultura e pari opportunità. La l. prov. 18/1987 (Istituzione dell’Istituto culturale mocheno-cimbro e norme per la salvaguardia e la valorizzazione della cultura delle popolazioni germanofone dei Comuni di Palù del Fersina, Fierozzo, Frassilongo e Luserna in provincia di Trento) riconosce all’Istituto culturale mocheno-cimbro, tra l’altro, il compito di esprimere pareri in materia di toponomastica locale dell’area linguistica mocheno-cimbra.

[23] L’art. 3 l. prov. 6/2008 riporta la denominazione in italiano e nelle rispettive lingue di minoranza dei comuni di insediamento storico delle comunità ladina, mochena e cimbra, secondo quanto era già stato disposto da una normativa di attuazione statutaria, prima (d. lgs. 321/1997, Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige recante modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 16 dicembre 1993, n. 592, in materia di tutela delle minoranze linguistiche in provincia di Trento), e da una legge provinciale, poi (l. prov. 4/1999, Norme per la tutela delle popolazioni di lingua minoritaria nella provincia di Trento).

[24] Il Comun general de Fascia esercita le funzioni amministrative della provincia in materia di toponomastica nei territori dei comuni in cui è insediata la popolazione ladina (art. 27 l. prov. 6/2008 e art. 19 l. prov. 3/2006 (Norme in materia di governo dell’autonomia del Trentino).

[25] V. l. prov. 5/1958 (Toponomastica urbana) abrogata da l. prov. 26/1975 (Istituzione della soprintendenza provinciale ai beni culturali e modifiche ed integrazioni alle leggi provinciali 25 luglio 1970, n. 16 e 19 settembre 1973, n. 37), a sua volta in seguito variamente integrata e modificata.

[26] Si veda, in tal senso, quanto previsto dagli artt. 56 e 92 dello statuto.

[27] In proposito, i gruppi politici più attivi sono stati: la Südtiroler Volkspartei (SVP), l’Union für Südtirol, i Verdi, Alleanza Nazionale.

[28] In particolare, la Raccomandazione ONU (1967), con riguardo alle regioni plurilingui, richiede che l’autorità locale: «a) riporti i toponimi in ognuna delle lingue ufficiali e qualora sia opportuno anche in altre lingue, b) indichi chiaramente la parità di ordine o l’ordine di successione dei nomi ufficiali e c) pubblichi questi nomi ufficialmente riconosciuti in carte ed elenchi».

[29] Il d.d.l. prov. 189/1992 (Verdi) fa riferimento alla microtoponomastica locale comprensiva della «denominazione ufficiale dei corsi d’acqua e delle montagne del territorio della provincia di Bolzano, delle località non abitate, dei terreni ...» (art. 4, 1° comma). Di fatto, la c.d. microtoponomastica finisce per estendersi alla gran parte delle località le cui denominazioni, secondo le proposte accennate, si vorrebbero lasciare ai comuni.

[30] Il timore, palesato sia dalle forze politiche di opposizione che dalla stampa locale, è che con la delega della microtoponomastica ai comuni si correrebbe il serio rischio di veder sparire le denominazioni italiane, essendo la maggior parte dei comuni della provincia di Bolzano governati dalla SVP.

[31] In tale senso, si vedano i d.d.l. prov. 183/1992 (SVP); 57/2000 (Verdi); 43/2004 (Union für Südtirol); 143, 144 e 145 del 2007, nonché 159 e 2 del 2008, tutti di iniziativa consiliare. Nei d.d.l. più recenti, inoltre, vengono elencati i nomi plurilingui ufficiali dei comuni in provincia di Bolzano (allegato A), i nomi plurilingui ufficiali delle frazioni e delle località minori in provincia di Bolzano (allegato B) ed i nomi plurilingui ufficiali dei passi, delle valli, delle montagne, dei corsi d’acqua e dei laghi (allegato C); l’operazione è finalizzata a sancire la vigenza delle denominazioni ufficiali in uso prima della entrata in vigore dei regi decreti del 1923-1940 per tutte le località non ricomprese in nessuno dei tre allegati (v. ad es. d.d.l. prov. 43/2004, 145/2007, 159 e 2 del 2008).

[32] In senso analogo, v. anche il d.d.l. prov. 29/1999, di iniziativa dello stesso gruppo consiliare.

[33] Sulla questione della toponomastica nella provincia di Bolzano non sono mancate in questi anni prese di posizione e sollecitazioni da parte delle istituzioni statali: così, nel 1997 il Parlamento approvava una risoluzione in cui impegnava il Governo a promuovere, di concerto con la provincia di Bolzano, «ogni iniziativa utile per dare piena attuazione nella lettera e nello spirito alle disposizioni dello statuto di autonomia in materia di toponomastica», rispettando lo statuto «soprattutto in un suo principio fondamentale, che è il bilinguismo, espresso anche nei toponimi» (risoluzione approvata il 16 aprile 1997 dalla I Commissione permanente della Camera dei deputati), e, sempre nel 1997, con una interpellanza il Parlamento chiedeva al Governo di chiarire come intendesse procedere a fronte della richiesta della SVP di discutere della regolamentazione della toponomastica all’interno della commissione paritetica con funzioni consultive per l’adozione delle norme di attuazione dello statuto (c.d. commissione dei sei) (interpellanza presentata nella seduta n. 208 del 10 giugno 1997). Tra le proposte di legge costituzionale dirette alla modifica dello statuto di autonomia della regione, nella XV e XVI legislatura veniva suggerito, tra l’altro, di rivedere le disposizioni in materia di toponomastica al fine di garantire il rispetto del bilinguismo (e del trilinguismo nelle valli ladine) (AC n. 1484 del 26 luglio 2006), fermi restando i toponimi di lingua italiana introdotti da leggi dello Stato (così espressamente AC n. 1043 del 14 maggio 2008).

[34] Misure di tutela sono state riconosciute anche alla minoranza walser di lingua tedesca stanziata in alcuni comuni della Valle dall’art. 40-bis dello statuto e dalla l. reg. 47/1998 (Salvaguardia delle caratteristiche e tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni walser della valle del Lys), la quale dispone, tra l’altro, che la regione promuove «la conservazione e la valorizzazione delle tradizioni walser, con particolare riguardo alla toponomastica ...» (art. 3, 2° comma, lett. a).

[35] Denominazione ufficiale dei comuni della Valle d’Aosta e norme per la tutela della toponomastica locale.

[36] Sul regime della toponomastica in Valle d’Aosta, v. in dottrina, Barbagallo, R., «Caratteri e vicende della toponomastica in Valle d’Aosta», in Diritto e società, n° 2, 1989, pp. 361-364.

[37] La X disp. trans. della Costituzione ribadisce, con espresso riguardo a questa regione e in attesa della adozione dello statuto di autonomia, l’obiettivo della “tutela delle minoranze linguistiche in conformità con l’art. 6”.

[38] ... e non primaria, diversamente da quanto previsto per le province di Trento e Bolzano e per la regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (v. supra quanto riportato nel testo).

[39] Per tutte, si veda la sentenza Corte cost. n. 28/1982.

[40] Sulla disciplina giuridica della toponomastica in Friuli-Venezia Giulia, v. Cevolin, G., «Tutela delle minoranze linguistiche e toponomastica in Friuli-Venezia Giulia», in de Vergottini, G.-Piergigli, V. (a cura di), La toponomastica in Istria, Fiume e Dalmazia. Profili giuridici, vol. I, Firenze, Istituto Geografico Militare, 2009, p. 97 ss., e, con specifico riguardo alla tutela della comunità friulana, compresi i profili relativi alla toponomastica, Cisilino, W., «The new regional law on the defence of the Friulan language», in Revista Llengua i dret, n° 50, 2008, pp. 273-284.

[41] In modo simmetrico viene disposto che nella zona sotto l’amministrazione jugoslava, dove gli appartenenti al gruppo etnico italiano costituiscono un elemento rilevante (anche in questo caso, almeno un quarto) della popolazione, tali iscrizioni e denominazioni devono essere riportati in italiano, oltre che nella lingua dell’amministrazione.

[42] Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli-Venezia Giulia.

[43] Secondo quanto affermato dall’art. 2, 2° comma, l. reg. 26/2007, tale territorio comprende le aree individuate ai sensi della l. 38/2001 e cioè le aree in cui la minoranza slovena è «tradizionalmente presente ... inclusi i comuni o le frazioni di essi indicati in una tabella predisposta, su richiesta di almeno il 15 per cento dei cittadini iscritti nelle liste elettorali o su proposta di un terzo dei consiglieri dei comuni interessati», dal Comitato istituzionale paritetico per i problemi della minoranza slovena ed approvata con decreto del Presidente della Repubblica (art. 4, 1° comma, legge 38/2001). Il decreto in questione è il d.P.R. 12 settembre 2007. Peraltro, nel territorio così individuato, le misure previste dalla l. reg. 26/2007 riguardano anche il resiano e le varianti linguistiche delle Valli del Natisone, del Torre e della Val Canale (art. 2, 3° comma, l. reg. 26/2007).

[44] Si tratta del ricorso 18 febbraio 2008, n. 16, pubblicato in G.U. 2 aprile 2008, n. 15.

[45] Sul punto v. ora Corte cost. n. 159/2009, che ha dichiarato la incostituzionalità, tra l’altro, dell’art. 11, 5° comma, l. 29/2007.

[46] Per approfondimenti sulla regolamentazione della toponomastica negli ordinamenti citati nel testo, sia consentito rinviare a de Vergottini, G.-Piergigli, V. (a cura di), La toponomastica in Istria, Fiume e Dalmazia, op.cit. e contributi ivi.

VLEX utiliza cookies de inicio de sesión para aportarte una mejor experiencia de navegación. Si haces click en 'Aceptar' o continúas navegando por esta web consideramos que aceptas nuestra política de cookies. ACEPTAR