Souveraineté e séparation des pouvoirs. Ovvero il giudice francese tra bouche de la loi e giusrealismo scettico

AutorFrancesco Alicino
Páginas1-45

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Le norme giuridiche sono l’unico strumento per vivere tollerabilmente gli uni accanto agli altri1. Ma laddove esista un monopolio normativo incombe il pericolo, peraltro già individuato dai pensatori della Grecia classica, che qualcuno diventi legalmente «kùrios tón nómon»2: padrone della macchina normativa, abusandone. E ciò riguarda non solo quei sistemi giuridici che nascono nel segno dell’autoritarismo: l’investitura popolare, infatti, si è spesso dimostrata come via consueta ai regimi illiberali3. Lo "Stato di diritto", nel senso liberale della formula4, nasce dalla necessità di limitare il potere politico: in esso

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la conquista di un sistema di garanzie si traduce in limiti giuridici istituzionalizzati5, posti a tutela dei governati ed imposti all’autorità statale. Donde l’affermazione del primato della legge (lex facit regem, e non viceversa) e della separazione dei poteri che, non a caso, diventa la «norma di riconoscimento di una democrazia costituzionale»6. Il suo fondamento non è l’interdipendenza tra i differenti soggetti che esercitano le medesime funzioni (divisione dei poteri), ma la reciproca dipendenza dei poteri, basati su fonti di legittimazioni diverse o, meglio, separate. Siamo innanzi ad una sorta di metanorma sulla competenza correlata alla struttura di un ordinamento, informato sul modello liberal-costituzionale7: le funzioni di produzione e di applicazione delle norme devono essere distinte; la legge deve essere preordinata alla sua applicazione e/o esecuzione, in modo da impedire che venga cambiata a vantaggio di chi è tenuto a rispettarla o applicarla.

Quanto precede vuol essere una sintetica, e niente affatto esauriente (s’intende), descrizione degli elementi essenziali che connotato il principio di separazione dei poteri, nell’accezione classica della formula, che trova in Locke e in Montesquieu i suoi primi, massimi ispiratori. Ora, l’obiettivo precipuo di questo saggio è quello di comprendere se oggi, ossia a trecento e passa anni dalle sue prime sistematiche formulazioni, ha ancora un senso parlare di questo principio. O se, invece, non è il caso di arrendersi all’evidenza, ammettendo che siamo innanzi ad un vuoto "santuario normativo"; né più e né meno che una moderna superstizione giuridica8.

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Sia chiaro, però, che non si tratta di un’esaustiva analisi della separazione dei poteri: ciò richiederebbe ben altro spazio e, soprattutto, capacità che probabilmente l’autore non ha, ma che nemmeno servirebbe allo scopo. Esso vuole essere invece qualcosa di più elementare: un tentativo di comprensione del significato odierno - semmai ve ne fosse - di un principio che, tutto considerato, si presenta come uno dei pilastri portanti del moderno costituzionalismo9. Il che rende questo lavoro discutibile dalla prima all’ultima parola; ma, si spera, anche meritevole di essere discusso. In effetti, con sincera umiltà, chi scrive lo ritiene un "esperimento" e, come tale, aperto a mutazioni, integrazioni e, sopra tutto, correzioni.

Il campo di osservazione sarà circoscritto all’evoluzione del modo di concepire il «momento giurisprudenziale del diritto»10nella storia costituzionale francese. In particolare, l’attenzione sarà focalizzata sulle fasi storiche che, sotto questo profilo, hanno inciso più di altre nel determinare i tratti essenziali del costituzionalismo d’Oltralpe. Le ragioni di questa scelta risiedono nel fatto che, secondo lo scrivente, la combinazione di questi due elementi (l’evoluzione del modo concepite il potere giudiziario nella storia costituzionale francese) offre una valida prospettiva d’analisi, capace di "illuminare" le fondamentali questioni che definiscono il tema in oggetto.

Oggi, infatti, il senso della separazione fra il Legislativo e l’Esecutivo - che servì ad affrancare la produzione legislativa dall’assolutismo regio, sottoponendo quest’ultimo alla supremazia del diritto - ha perso gran parte della sua originaria operatività. Nei regimi Parlamentari il Governo e il Parlamento sono legittimati entrambi dalla rappresentanza politica: il primo è generalmente vincolato al secondo da un rapporto di fiducia, mentre il Capo del Governo di solito è anche il leader della maggioranza parlamentare. Il rapporto tra questi due poteri si esprime così in una comunanza di "destini": se il Governo non si sottomette alla volontà (maggioritaria) del Parlamento, deve necessariamente dimettersi; allo stesso modo, se il Parlamento ritiene che l’attività governativa non sia più in linea con i propri orientamenti politici, induce il Governo alle dimissioni. Un esempio, questo, paradigmatico di quanto i due poteri, più che organicamente separati, siano, in realtà, funzionalmente e ordinariamente condivisi11.

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Utilizzato invece per descrivere l’autonomia e l’indipendenza del giudiziario, il suddetto principio non solo conserva la sua originaria valenza, ma anzi rafforza la sua importanza: si tratta pur sempre di una separazione concepita entro la classica tripartizione dei pubblici poteri (Legislativo, Esecutivo e Giudiziario), ma che col tempo ha accentuato la funzione di garanzia della giuris-dizione. Nell’odierna formula dello Stato di diritto, l’autonomia e l’imparzialità del giusdicente diventano infatti consustanziali all’applicazione della legge, alla soddisfazione dei diritti fondamentali (costituzionali) e al rispetto del principio di eguaglianza: tutti elementi che, attualmente, definiscono le "qualità essenziali" di un ordinamento costituzionale12. Da cui la tendenza a rivalutare il momento giurisprudenziale del diritto, configurato come una fonte - concorrente e strumentale - di produzione giuridica13: la giurisdizione diventa così l’espressione di una «source délicieuse»14o di un «diritto mite»15, incidendo sulla concreta operatività del principio di separazione dei poteri, senza però smentirne i connotati originari.

Esso, infatti, rimane pur sempre legato alla concezione delle libertà individuali, finendo per assumere il significato dogmatico di un meccanismo istituzionale di tutela delle stesse16: soltanto il potere separato, ripartito tra soggetti diversi, può essere un potere limitato, ridotto e controllabile17. Cosicché, quanto alla separazione-autonomia del potere giudiziario, un organo speciale, il giudice, non soltanto si vede riconoscere una precisa funzione attiva, ma ad un tempo può impedire eventuali abusi di altri organi, costituzionalmente garantiti. Una funzione, quella del giudiziario, che trova una sua giustificazione anche rispetto alla nozione di legge: norma generale ed astratta, la quale, proprio per queste sue qualità, dopo che è stata promulgata, perché "viva" deve essere applicata - vale a dire interpretata - in relazione ad un caso particolare18. La norma di legge diventa così una variabile del significato della massima contenuta nel testo (Parte I).

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Quello dei poteri separati può essere considerato come un principio frutto dell’esperienza storica, con cui si consolida l’idea dello Stato di diritto19. Su di esso si sono via via riversate varie elaborazioni concettuali. Restano, tuttavia, impressi i segni dell’originario nucleo pratico, derivante dall’esigenza di limitare il potere, l’autorità. Ed è sempre l’esigenza di affermare un sistema di limitazione istituzionalizzata del potere ad innescare, nella gran parte dei Paesi occidentali, un processo che ha portato oggi lo Stato di diritto ad essere identificato con un ulteriore attributo che si specifica nello "Stato costituzionale"20, nel senso assiologico della formula21: con ciò si viene ad indicare un fenomeno normativo alla cui base troviamo un determinato modello di Costituzione22, ove sono disposti (i giusnaturalisti avrebbero detto "riconosciuti") alcuni diritti fondamentali23, la vita dei quali è garantita anche e

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soprattutto dai limiti imposti al legislatore ordinario24. Inevitabilmente s’innalza il profilo dei giudici, soprattutto delle giurisdizioni costituzionali25, nel complessivo assetto istituzionale26: l’attenzione cade sull’annosa questione dell’interpretazione delle norme (in particolare quelle di rango costituzionale) e, di conseguenza, sul valore o disvalore che si è disposti ad attribuire alla creazione giudiziale del diritto.

Sorge così una questione piuttosto delicata. Questo fenomeno potrebbe invero celare il passaggio, per molti versi rivoluzionario, da uno Stato di diritto ad uno "Stato giudiziale": ovverosia, da uno modello normativo a prevalente potere legislativo ad uno, invece, a prevalente potere giudiziario (Parte II)27.

A ben riflettere, però, tutte queste problematiche sono - direttamente o indirettamente - connesse con quella che fa riferimento ad un altro pilastro del moderno costituzionalismo: il principio di sovranità. Principio che, al pari di quello che fa riferimento ai poteri separati, è oggigiorno soggetto ad una importante riflessione, che spesso si tramuta in una sua ridefinizione, tanto da prospettare una vera e propria crisi dello Stato sovrano28. Ciò risulta con particolare evidenza se ad essere analizzata è l’evoluzione subita da questo concetto nella storia costituzionale francese. Una storia che come si diceva assurge, e non è un caso, a fondamentale «laboratorio della modernità giuridica continentale»29e che, per le stesse ragioni, offre un’ottima prospettiva storicogiuridica per tentare di sciogliere gli interrogativi su cui nasce e s’innerva il presente lavoro.

I Souveraineté e séparation des pouvoirs

Che una norma sia giusta o ingiusta dipende da un comando o dal divieto del sovrano. E per sovrano s’intende «la personne qui détient et exerce le pouvoir

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suprême, c’est-à-dire...

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