La riforma degli enti local in Ialia nel contesto della crisi economica

AutorLuciano Vandelli
Páginas257-271

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I Crisi e sistema locale

Gli effetti della crisi che sta travagliando l’economia europea investono sotto diversi profili il sistema italiano delle autonomie, incidendo in maniera assai rilevante sulla evoluzione del sistema delle autonomie. Una evoluzione che aveva conosciuto, negli ultimi decenni, un processo di crescente decentramento, dalla istituzione delle regioni, nel 1970, alla riforma dell’ordinamento locale del 1990, dai trasferimenti di funzioni dal centro alla periferia, culminati negli anni ’97-99; sino alla approvazione, nel 2001, di una ambiziosa riforma costituzionale; la cui attuazione, peraltro, si è rivelata lenta e problematica, sia sul versante finanziario (contrassegnato dall’adozione, nel 2009, della legge n.42 sul federalismo fiscale, con un’ampia serie di deleghe, tuttora in corso) sia sul versante istituzionale (attualmente all’attenzione del Parlamento, chiamato all’esame del disegno di legge sulla «Carta delle autonomie»).

Su questo processo, è intervenuta, nella fase più recente, una serie di reiterate manovre, con una ampia e complessa pluralità di misure.

Certamente, questi interventi si sviluppano, in primo luogo, su un piano squisitamente finanziario. Così, si riducono i fondi da trasferire, si aumenta (direttamente o indirettamente) il carico fiscale, si stabiliscono soglie alla spesa pubblica.

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Gli interventi di questo tipo, tuttavia, sono affiancati da azioni che incidono in termini strutturali sulle organizzazioni pubbliche, tendendo a ridimensionare, accorpare, sopprimere organi ed enti. Spesso determinando influenze e conseguenze in una prospettiva ben più ampia e durevole di quanto non giustificherebbero le finalità di contrastare una crisi che si auspica temporanea.

Così, nella fase recente, in Italia sull’ordinamento delle autonomie si sono concretamente riverberati incisivi interventi motivati in relazione al ricorrente richiamo ad obbiettivi di «contenimento dei costi della politica» o, con qualche maggiore precisione, di «riduzione dei costi degli apparati istituzionali», particolarmente nel contesto di manovre economiche; interventi puntuali che spesso si aggiungono ed alternano, peraltro, ad altre disposizioni inserite in leggi «omnibus» di vario genere, dalle norme per l’adempimento degli obblighi europei («leggi comunitarie») alle misure di proroga di termini ed adempimenti («mille proroghe»), passando, anzitutto, per le reiterate manovre finanziarie.

Interventi di questo tipo possono concernere, anzitutto, aspetti relativi a tagli di spese, a partire da indennità e rimborsi a titolari di cariche pubbliche, ma che non raramente si proiettano su profili dell’ordinamento, talora prefigurando e determinando cambiamenti strutturali, con effetti non facilmente reversibili sugli assetti delle istituzioni.

II Le manovre economiche 2010-2011

In una direzione volta a misure strutturali di intervento sulle istituzioni, già si mosse, particolarmente, la finanziaria per il 2010 (legge 23 dicembre 2009, n.191); che, nel disporre una significativa riduzione dei trasferimenti erariali agli enti locali posta in relazione con una serie di misure volte a garantire risparmi di spesa, prevedeva - oltre ad una riduzione del numero dei consiglieri e degli asses-sori comunali - la soppressione di una varietà di istituti, organi, incarichi (dai consorzi di funzioni alle circoscrizioni di decentramento, dai difensori civici ai direttori generali, sino alle giunte nei comuni inferiori ai 3.000 abitanti) e la cessazione del concorso dello Stato al finanziamento delle comunità montane (un 30% del quale, peraltro, sarebbe stato assegnato ai comuni montani).

A distanza di appena un mese da queste misure, d’altronde, il Governo interveniva sui medesimi oggetti, stabilendo con decreto-legge, già nel gennaio 2010, una nuova disciplina. Una disciplina per vari aspetti ampliata e nuovamente riscritta, nel marzo successivo, dalla Camera in sede di conversione del decreto (d.l. n.2, convertito in l. n. 42 del 2010).

Complessivamente, le misure adottate con la legge finanziaria venivano così riformulate, in materia di governo locale; mentre si aggiungendo ulteriori interventi, a partire dalla soppressione delle autorità di ambito territoriale che una disciplina di qualche anno prima (d. lgs. n. 152 del 2006) aveva inteso co-

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stituire obbligatoriamente tra enti locali per gestire le competenze in materie rilevanti come il servizio idrico e la gestione dei rifiuti urbani.

D’altronde, ulteriori misure (decreto legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, nella l. n.122) intervenivano sui piccoli comuni, vincolandoli all’esercizio obbligatoriamente associato delle funzioni; ponevano limiti alla costituzione di società, vietandola per comuni inferiori a 30.000 abitanti; sopprimevano l’Agenzia per la gestione dei segretari comunali.

Nel 2011, poi, gli interventi si sono moltiplicati, in un incalzante susseguirsi di misure (dalle più varie denominazioni: «decreto sviluppo», «manovra correttiva», «manovra d’estate», legge «di stabilità», «manovra salva-Italia»)1.

Tra l’altro, questi decreti adottavano nuove misure per la riduzione dei costi della rappresentanza di comuni e province, ridimensionando ulteriormente e significativamente il numero dei membri dei consigli2; ma soprattutto, le discipline approvate o proposte, e il dibattito - talora assai vivace - che le ha accompagnate hanno coinvolto importanti elementi del nostro sistema di governo locale, nella fisionomia definita dalla legislazione degli ultimi decenni, o addirittura consolidata nel corso di una lunga e consolidata tradizione: a partire dalle questioni relative ai piccoli comuni, da un lato, e dalla presenza del livello provinciale, dall’altro.

Così, vari istituti ed organi che avevano caratterizzato, nella stagione delle riforme degli anni ’90, le prospettive di un’amministrazione locale più partecipata (si pensi, ad esempio, ai difensori civici), più vicina ai cittadini (anche grazie alle forme di decentramento urbano), più efficiente (in particolare, arruolando competenze manageriali attraverso la figura del direttore generale) sono stati oggetto di misure di abolizione o netto ridimensionamento.

III La questione delle province: le tendenze al consolidamento

Da tempo, il dibattito relativo alle Province è contrassegnato da polemiche e proposte di soppressione. Polemiche e proposte che hanno precedenti assai

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risalenti; particolarmente a partire dagli anni ’70, quando la Provincia si trova ad operare, ormai, in un contesto di regionalizzazione attuata.

Polemiche e proposte di soppressione che, in realtà, non avevano impedito, nel corso delle riforme confluite nel testo unico delle autonomie locali (TUEL) del 2000 una conferma delle province, ed anzi un rafforzamento delle loro competenze in materie come viabilità, motorizzazione, lavoro, istruzione, lavori pubblici. Conferma sancita, nell’anno successivo, anche sul piano costituzionale. Così, nel testo della riforma del Titolo V della Costituzione, la provincia si trova sancita ripetutamente, anzitutto come elemento costitutivo della Repubblica, essendo individuata - parallelamente alle Città metropolitane - ad essere la prima destinataria delle funzioni che per le quali i Comuni si presentino inadeguati, in base al principio di sussidiarietà (art. 118 Cost.).

Nella legislazione successiva alla riforma costituzionale, del resto, il ruolo delle Province è parso stabilizzarsi e talora irrobustirsi, in vari ambiti di materie; come conferma la stessa individuazione delle funzioni fondamentali di cui alla lett. p) dell’art.117, comma 2 Cost. Individuazione che, pur essendo tuttora in discussione al Senato, nel contesto di approvazione del disegno di legge relativo alla cosiddetta «Carta delle autonomie» (S. n. 2259), ha trovato una prima definizione, in via transitoria, nella legge sul federalismo fiscale n. 42 del 2009. Appunto in riferimento alle Province, la legge 42 indica - oltre alle funzioni generali di amministrazione e di controllo, comuni a tutti gli enti - alcune, significative materie, dall’istruzione pubblica (compresa l’edilizia scolastica) ai trasporti, dalla gestione del territorio alla tutela ambientale, sino al mercato del lavoro. Tendenze non dissimili, del resto, si ritrovavano nel disegno di legge n.2259 sulla Carta delle autonomie; dove peraltro la individuazione delle funzioni - destinata a sostituire quella transitoria - si presenta in termini più articolati ed ampi, delineando un ruolo rafforzato in ordine alle funzioni, tra le quali vengono incluse materie quali: pianificazione territoriale provinciale di coordinamento; difesa del suolo; prevenzione e pianificazione d’emergenza nella protezione civile; tutela dell’ambiente, compresi i controlli sugli scarichi di acque ed emissioni, programmazione dello smaltimento rifiuti a livello provinciale; tutela e gestione del patrimonio ittico e venatorio; pianificazione dei trasporti e dei bacini di traffico; strade provinciali e relativa regolazione della circolazione stradale; servizi scolastici, compresa l’edilizia, per l’istruzione secondaria di secondo grado; servizi per il lavoro; formazione professionale...

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