La retribuzione variabile in Italia
Autor | Antoni di Stasi |
Cargo | Professore di Diritto del Lavoro nell'Università Politecnica delle Marche |
Páginas | 180-200 |
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Lespressione «Retribuzione variabile» viene utilizzata in Italia per identificare quella parte di retribuzione del lavoratore che viene erogata come una sorta di «premio» e cioé ogni qual volta si raggiungono degli obiettivi o dei risultati. Accanto ad un trattamen-to retributivo fisso, nel senso che spetta per il 50/0 svolgimento della prestazione lavora-tiva ed é quasi sempre rapportato ad una retribuzione oraria secondo quanto pattuito nel contratto individúale o nel contratto collettivo (tendenzialmente «nazionale» e di «cate-goria»), dunque, il lavoratore trova una «voce» o piü «voci» che sonó eventuali nel senso che possono essere riconosciute, o no, oppure che possono essere riconosciute con una periodicitá che puó essere mensile come annuale.
La retribuzione variabile stabilita nei contratti individuali non é stata oggetto di inves-tigazione estesa da parte della letteratura scientifica - sia perché riguarda un numero di lavoratori esiguo e sia perché i lavoratori che hanno la forza di imporre «premi» o «be-nefici» al raggiungimento di determinati risultati ricoprono posizioni dirigenziali e come tali contrattano su un piede di paritá1 - mentre, invece, grande interesse ha suscitato la retribuzione variabile stabilita da contratti collettivi, specialmente da parte di quelli azien-dali.
II códice civile, emanato nel 1942, prevede nell'art. 2099, tuttora in vigore, al primo com-ma che la retribuzione puó essere a tempo o a cottimo, salvo poi aggiungere che puó essere con partecipazione agli utili, ai prodotti, con prowigione o con prestazioni in natura2. É cosí accaduto che per molti decenni l'utilizzo del «cottimo» e cioé la scelta di legare
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la retribuzione in base alia quantitá di lavoro prodotta o stimata3 é stata contrastata dal movimento sindacale per evitare ai lavoratori quello che fu definito lo «stress da esame» a causa della misurazione giornaliera delle prestazioni e comparazione della efficienza tra lavoratori. In sede di contrattazione collettiva negli anni '60 e '70 i lavoratori riescono ad ottenere il riassorbimento del «guadagno di coturno» nella retribuzione c.d. base e a para-metrare la retribuzione sul tempo di lavoro con la previsione di una paga oraria4. In questi due decenni il sindacalismo fa proprio lbbiettivo egualitario e quindi l'azione contrattuale tende alia parificazione e semplificazione dei trattamenti: il quantum retributivo viene accorpato per «categorie» o «livelli» professionali nell'ambito delle quali le differenze «di risultato» tra l'attivitá svolta in concreto tra un lavoratore ed un altro non comporta differenze retributive5. In altri termini, la rilevanza del coturno diminuisce enormemente e quasi sparisce dalle buste paga dei lavoratori.
La formidabile forza sindacale degli anni '70 porta ad una stagione contrattuale in cui a livello nazionale si prevedono aumenti contributivi della paga oraria con lbbiettivo di parificare le condizioni retributive di tutti i lavoratori di una medesima categoria su tutto il territorio nazionale, mentre nelle singóle aziende vengono stipulati contratti aziendali che a seconda delle diverse condizioni di floriditá económica deH'impresa e di capacita conflit-tuale dei lavoratori prevedono ulteriori aumenti retributivi, quasi sempre su base oraria. Nel contempo lerosione del valore reale delle retribuzioni, a fronte di una inflazione a due cifre, viene combattuta con il meccanismo della c.d. «scala mobile»: la rivalutazione delle paghe é automática e pari al tasso di inflazione rilevato dall'Istituto di statistica su un pa-niere di beni di consumo.
II meccanismo della scala mobile venne ritenuto da alcuni economisti come produttivo esso stesso di inflazione per cui nel 1983 il Governo presieduto dal socialista Betuno Craxi
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decise di «tagliare» il rapporto tra aumento dell'inflazione e pari aumento percentuale delle retribuzioni. La vicenda é passata alia storia come il taglio dei punti di contingenza le cui conseguenze andarono ben oltre gli effetti sulle buste paga dei lavoratori tanto che produssero una divisione sindacale (non solo tra la Cisl e Uil da un lato e la Cgil dall'altro, ma anche ah"interno della stessa Cgil tra la componente socialista e quella comunista) e la richiesta di un referendum abrogativo delle disposizioni introdotte con il decreto-legge 17 aprile 1984, n. 70 (convertito in legge 12 giugno 1984, n. 219), concernente misure ur-genti in materia di tariffe, di prezzi amministrati e di indennitá di contingenza6.
Il corpo elettorale si espresse in favore del mantenimento della disciplina che permette-va la riduzione del valore reale delle retribuzioni a seguito dellerosione dell'inflazione; di-minuzione poco significativa in quanto riduceva il meccanismo di recupero deH'inflazione di pochi decimali, ma gli effetti politico-sindacali furono dirompenti tanto che si affermó la convinzione della necessitá di mettere un freno agli aumenti delle buste paga e steriliz-zare le spinte contrattuali tese ad aumentare la retribuzione.
Il Protocollo del 23 luglio 1993, un Accordo firmato dalle maggiori organizzazioni sin-dacali dei lavoratori con tutte le organizzazioni di rappresentanza delle imprese e che fu definito dal Ministro del lavoro Giugni come il «sistema costituzionale»7 delle relazioni industriali, dopo aver affermato lesistenza di un doppio livello contrattuale (uno naziona-le ed uno, alternativamente, territoriale o aziendale), non solo disciplinava i rapporti fra gli accordi di diverso livello, ma aveva il dichiarato compito di superare «le tradizionali anomalie del sistema retributivo e contrattuale italiano»8.
Il Protocollo del 1993 manteneva la preminenza del contratto nazionale di categoria con il compito, per quanto riguarda il tema delle retribuzioni, di adeguare il trattamento económico al tasso di inflazione, con la specificazione che non poteva superare il tasso di inflazione previsto dal Governo (salvo prevedere poi, una volta verificata l'inflazione reale, il meccanismo attraverso il quale recuperare gli eventuali differenziali).
Il contratto collettivo di secondo livello (ma nella esperienza pratica il riferimento va al contratto aziendale) poteva intervenire solo sulle materie espressamente rinviate dal contratto nazionale e su istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli retributivi propri del contratto nazionale. In sostanza, il Protocollo (nel Parágrafo 2.3) stabiliva che a livello aziendale non potessero essere previsti aumenti della retribuzione oraria,
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dovendosi legare eventuali altre erogazioni economiche a premi da erogare al raggiun-gimento di determinati obiettivi9. Di contro, era esclusa dalla competenza nazionale la possibilitá di disciplinare questa materia tanto che veniva riconosciuta una competenza esclusiva al contratto di secondo livello nella regolamentazione della retribuzione variabile.
Sul finiré del primo decennio del nuovo secólo si rompe la tradizionale unitá sindacale fra le tre piü importanti confederazioni sindacali e viene stipulato soltanto da Cisl e Uil con Confindustria un Accordo Quadro (del 22 gennaio 2009)10 in «sostituzione» (v. oltre) del Protocollo del 1993.
I motivi posti alia base della riforma contrattuale risiedevano nella circostanza che i contratti non venivano rinnovati secondo le scadenze previste dal Protocollo del 1993 (di quattro anni), il tasso di inflazione programmata risultava distante dalla reale inflazione, la contrattazione decentrata owero aziendale era limitata alie solé grandi o al massimo medie imprese, mentre risultava assente o impotente nelle piccole imprese, di fatto comportando unassenza anche del premio di risultato e, di conseguenza, un mancato adegua-mento delle retribuzioni.
In realtá, il nuovo sistema e gli accordi interconfederali emanati in sua attuazione confermano nella sostanza il sistema precedente con alcune significative modifiche: per-mangono i due livelli di contrattazione, ma la durata dei contratti viene por tata a 3 anni; permangono i due livelli contrattuali, quello nazionale di categoria e quello aziendale/ territoriale, ma la clausola di ripetibilitá viene estesa alia totalitá degli istituti e non solo a quelli retributivi, come aweniva in precedenza.
Per ció che concerne gli aumenti retributivi con i rinnovi contrattuali si abbandona il «tasso di inflazione programmata» come indicatore di crescita dei prezzi al...
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