La resistenza in assemblea costituente e nel testo Costituzionale Italiano del 1948

AutorGiacomo Delledonne
Páginas218-241

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I Introduzione

Costituzione e Resistenza. Un binomio in cui la coscienza collettiva, al pari degli idola specus della comunità scientifica, ravvisa alcunché di scontato, per così dire di endiadico. Il rapporto di continuità, si vorrebbe dire di filiazione, fra la guerra di liberazione del 1943-'45 e la Carta fondamentale entrata in vigore il 1º gennaio 1948, non è d'altra parte soltanto il frutto di un'elaborazione compiuta a posteriori.1 Si tratta invece di un dato la cui consapevole affermazione premeva molto già agli stessi Costituenti: nella seduta del 10 settembre 1946 della prima Sottocommissione della c.d. Commissione dei 75, incaricata di redigere un progetto di Costituzione, Aldo Moro affermava infatti recisamente che "la Costituzione deve avere un significato storico ed una particolare funzione storica. Su questa base di polemica antifascista sembra opportuno affermare la priorità e l'autonomia della persona di fronte allo Stato. Questo anche dal punto di vista della funzione educativa che deve esercitare la Costituzione"2.

D'altra parte la Carta del 1948 non ha una chiara ascendenza giuridica, non è il prodotto riconoscibile di una determinata corrente del pensiero costituzionalistico. Ciò basta a differenziarla significativamente da numerose Costituzioni novecentesche: basti citare la Costituzione austriaca del 1920, potentemente influenzata dalle riflessioni teoriche di Hans Kelsen, e quella francese della V Repubblica, riconducibile al pensiero di Michel Debré. Una dottrina ormai classica, confortata dai risultati raggiunti dagli studiosi di storia contemporanea, vede invece nei partiti antifascisti, inizialmente raccolti nel Comitato di liberazione nazionale e poi uniti - perlomeno i partiti di massa - dall'esperienza del Governo tripartito, gli autentici "padri della Costituzione"3italiana. E "i politici che emergono in posizione autorevole all'interno dell'Assemblea avevano per lo più già svolto ruoli rilevanti nel corso della lotta clandestina e della fase transitoria"4.

Eppure un'osservazione più disincantata, incline a cogliere le ragioni profonde dei fenomeni giuridici al di là delle enunciazioni programmatiche o delle questioni di politica contingente, una volta compiuti questi rilievi non può fare a meno di notare quanto sia problematico specificarne la portata e le implicazioni. Page 219

Si può innanzitutto notare la difficoltà di connotare positivamente il legame fra la guerra di liberazione del 1943-'45 e il processo costituente del 1946-'48. "L'antifascismo - è stato osservato - è solo la base per l'accordo tra le forze politiche. Questo è destinato infatti a trovare in altro la sua sostanza positiva ... Siamo ora ... in una fase storica che è profondamente diversa dalla precedente [fase resistenziale] dal punto di vista - per dir così - logico: è la fase in cui l'antifascismo non basta più, la fase in cui occorre disegnare il figurino della nuova Repubblica, la fase in cui dire che essa è 'altro' rispetto al regime fascista è necessario, ma non è più sufficiente"5.

Si dice poi che i partiti furono gli autori della Carta; ma questa paternità prendeva le mosse da un'elaborazione precedente? Può essere illuminante un'analisi delle loro proposte programmatiche, presentate in vista delle elezioni dell'Assemblea costituente. I più avvertiti studi di storia costituzionale hanno da tempo messo in luce che i partiti avevano evitato - talora intenzionalmente - di elaborare programmi costituzionali, poiché il principale discrimen delle scelte politiche era rappresentato dalle posizioni assunte a proposito del referendum istituzionale6. Non si può perciò dire che il corpo delle disposizioni contenute nella Costituzione del 1948 rappresenti il lineare esito della vita partitica dal 1943 in poi: pare insomma incontestabile che "l'elaborazione della tematica istituzionale compiuta dai partiti politici nel corso della Resistenza e della fase transitoria [fu], oltre che confusa, assai limitata"7. Sara sufficiente citare ad esempio il congresso della Democrazia cristiana che ebbe luogo a Roma nell'aprile del 1946, dal quale emerse una piattaforma che si limitava a ripetere alcune tradizionali parole d'ordine della dottrina sociale della Chiesa.

D'altra parte l'assenza di una cultura istituzionale diffusa nell'opinione colta dell'Italia di allora, potentemente modellata dalla svalutazione crociana e dall'indifferenza marxista nei confronti delle questioni giuridiche, non era certo priva di legami con quelle tesi, caratteristiche delle punte avanzate del progressismo, che scorgevano nella Costituzione un ripiego rispetto alle promesse rivoluzionarie della lotta antifascista. Come disse Emilio Lussu durante la discussione in Assemblea sul progetto di Costituzione, "noi siamo usciti da una rivoluzione mancata, la rivoluzione del grande movimento partigiano, la rivoluzione del Comitato di Liberazione Nazionale. Può dispiacere a molti ... per me è stato uno dei dolori più grandi della mia vita"8. Ed è ancora più noto il severo giudizio pronunciato da Piero Calamandrei due anni dopo l'entrata in vigore della Carta: "nella impossibilità di attuare immediatamente le riforme di carattere sociale vagheggiate da alcuni partiti progressivi della Costituente, questi si sono contentati di inserirne nella Costituzione almeno il preannuncio ... Così, per compensare le forze di sinistra della rivoluzione mancata, le forze di destra non si opposero ad accogliere nella Costituzione Page 220 una rivoluzione promessa"9. Vedremo in seguito che Calamandrei ebbe l'occasione di ritornare su quelle valutazioni, esprimendosi in termini alquanto differenti.

Bisogna infine tenere nella dovuta considerazione quella notevole complessità politico-istituzionale, immanente alla storia dell'Italia unita, che si era manifestata sotto il fascismo e si presentava, se possibile, accentuata negli anni compresi fra il 1943 e il 1948. Nell'elaborazione della Costituzione si può allora ravvisare una fitta rete di transazioni fra i partiti dell'"esarchia" la Monarchia - fino, naturalmente, al 1946 - le potenze alleate e la Chiesa cattolica10. Non si può infatti trascurare il fatto che la convocazione di un'Assemblea costituente fu uno dei moniti formulati dagli Alleati all'atto del provvisorio riconoscimento del Governo Badoglio e, più tardi, in occasione della conferenza di Mosca. Alla fine di questo excursus il quadro complessivo degli influssi che determinarono le scelte costituzionali del nostro ordinamento dopo la fine del regime fascista rischia di apparire tanto variegato da risultare quasi indecifrabile.

Penso sia perciò più opportuno avvicinare la questione rivolgendo l'attenzione soprattutto ad alcune esperienze particolari del complesso periodo compreso tra la fine del regime fascista e l'avvento della Repubblica: la prospettiva di studio più corretta, poiché più idonea a cogliere le peculiarità dell'oggetto-Costituzione, sarà probabilmente, alla luce delle considerazioni fin qui riunite, quella della storia costituzionale intrecciata al diritto costituzionale. Come ebbe modo di osservare Livio Paladin, i migliori storici della dimensione storica del diritto costituzionale sono i costituzionalisti stessi: "I confini della storia costituzionale coincidono infatti ... con la sfera dei soggetti e dei rapporti costituzionalmente rilevanti, determinata dalla cosiddetta scienza costituzionalistica. La selezione dei fatti e dei dati, di cui tale storia è destinata a comporsi, spetta pertanto ai costituzionalisti"11.

II Continuità e fratture nella storia costituzionale italiana

Un primo punto fermo nell'indagine sui legami fra Resistenza e Costituzione può essere ravvisato nelle vicende che portarono all'emanazione della c.d. prima Costituzione provvisoria, contenuta nel d.l. lt. 25 giugno 1944, n. 151, sulla cui centralità, quale "atto di nascita del nuovo ordinamento democratico italiano", tanto insistette Piero Calamandrei12. Poco dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, mentre la Corona e il Governo Badoglio Page 221 erano impegnati in uno sforzo di ripristino della cornice istituzionale statutaria13, il Comitato di liberazione nazionale, da poco costituito e ancora operante in clandestinità, in una dichiarazione resa a Roma il 16 ottobre pose con forza la questione costituzionale. Al rifiuto di collaborare con un Re - Vittorio Emanuele III - ritenuto irrimediabilmente compromesso col passato regime si unì la richiesta di un solenne impegno per la convocazione, alla fine della guerra, di un'Assemblea costituente pienamente sovrana. Non si trattava di abbattere la Monarchia, ma di trascinare la vita istituzionale all'esterno della cornice dello Statuto albertino. In seguito alle complesse trattative fra il nuovo Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi e i partiti del CLN, da una parte, e il Re, dall'altra - propiziate dalla mediazione di Enrico De Nicola - ebbe inizio la fase luogotenenziale. L'art. 1 della "Costituzione provvisoria" recava un impegno a deferire le fondamentali scelte costituzionali al popolo italiano, "che a tal fine eleggerà, a suffragio universale diretto e segreto, una assemblea Costituente per deliberare la nuova Costituzione dello Stato"14. Ne scaturì, secondo Calamandrei, "un ordinamento nuovo, che aveva ormai rotto ogni continuità costituzionale col regime precedente e nel quale la monarchia non poteva più vantare altro che aspettative di fatto, non già diritti fondati sul 'patto tra re e popolo', che essa aveva rotto e la cui decadenza aveva reso al popolo la sua piena...

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