Il paradigma del tiranno nel mondo tardoantico

AutorDaniela Borrelli
Cargo del AutorUniversità di Napoli 'Federico II
Páginas139-159

A Massimo, «Leasts Rivers - docile to some sea. / My Caspian - thee.» (E. Dickinson, n. 212).

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And because the name of tyranny, signifieth nothing more, nor less, than the name of sovereignty, be it in one, or many men, saving that they that use the former word, are understood to be angry with them they call tyrants; I think the toleration of a professed hatred of tyranny, is a toleration of hatred to commonwealth in general, and another evil seed, not differing much from the former. For to the justification of the cause of a conqueror, the reproach of the cause of the conquerer, is for the most part necessary: but neither of them necessary for the obligation of the conquered.

(Thomas Hobbes, Leviathan)

  1. Questa rifiessione, inserita da Hobbes nella «Revisione e conclusione» del Leviatano, costituisce una piccola provocazione utile a precisare in qualche modo l’oggetto e i limiti del mio contributo. Nell’affrontare il tema del potere tirannico e dei suoi limiti, infatti, mi sono domandata: chi è in realtà il tiranno e chi è davvero l’imperatore, nell’ambiguo gioco di specchi che svela e nasconde a un tempo i caratteri dell’esercizio del potere nella tarda antichità?

    È sufficiente in questa sede ricordare come il trattamento letterario degli eventi connessi alla svolta costantiniana e al dominio dei Costantinidi sia stato senz’altro frutto di una sapiente rielaborazione che, se pure non fu legata soltanto a un atteggiamento di ira et studium, va comunque accuratamente interpretata, qualora si desideri far luce sui meccanismi fondamentali della conquista e della

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    gestione del potere supremo nel Tardo Impero1. Questa tematica è stata già trattata magistralmente da Salvatore Calderone, per esempio in saggi ancora attuali sulla ritualizzazione dell’elezione imperiale2, e da Gilbert Dagron, che ha indagato sulle radicali modificazioni ideologiche e sociali che trasformarono il princeps augusteo nell’[VER PDF ADJUNTO] bizantino3. A oggi è ancora un campo di ricerca molto analizzato e dibattuto ma, poiché per ragioni di brevitas non mi soffermerò in questa sede sui singoli contributi ad esso pertinenti, dichiaro fin d’ora apertamente il mio debito nei confronti di numerosi quanto validi maestri.

    Anche la nozione di tirannia, vale a dire l’altra faccia della sovranità, è stata ed è oggetto di una specifica e diffusa attenzione da parte di brillanti studiosi, spesso interessati alle implicazioni giuridiche e alla valenza politica da assegnare alla figura del [VER PDF ADJUNTO], nonché all’aspetto etico di tale appropriazione del potere, mentre gli esiti teorici sono talora correlati -per opposizione- al ritratto del perfetto governante4.

    Com’è noto, l’idea di tirannia si modificò nel corso dell’età imperiale perché, se fino all’età dei Severi predominò un’interpretazione collegata a un abuso di potere da parte del legittimo princeps, dall’età della cosiddetta anarchia militare si assiste a un ampliamento semantico per cui, a poco a poco, usurpa-tore e tiranno tendono a identificarsi5. Le testimonianze letterarie propongono, quindi, in linea con il cambiamento verificatosi nella teoria politica dell’epoca,

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    l’utilizzazione dei clichés propri del ritratto del tiranno per esprimere nuove realtà, muovendosi spesso tra quella che potremmo definire una «retorica della reticenza»6, che esprimeva una denuncia impossibile da dichiarare apertamente, e una "parola della lode", atta ad eliminare qualunque sospetto di tirannide e a giustificare le gesta imperiali, come ha ben illustrato, tra gli altri, Tantillo nell’introduzione al primo panegirico offerto da Giuliano a Costanzo II7.

    La figura del [VER PDF ADJUNTO] nella tarda antichità appare perciò ancora sfuggente e, nella sua ricchezza polisemica di idra dalle cento e più teste, non s’identifica soltanto con l’usurpatore, che è poi quasi sempre il vinto o il "conquistato", per riprendere le parole di Hobbes; quasi sempre, perché non appare corretta la generalizzazione corrente, secondo la quale tiranno e vinto si equivalgono tout court, come ha di recente ribadito anche Ignazio Tantillo8.

    Il dibattito critico cui si è fatto riferimento, pur esposto in modo cursorio, ha sì offerto importanti contributi e risultati, tali da consentirci di delineare il profilo del tiranno, ma ha anche sollevato nuovi interrogativi e scardinato antiche certezze sulla rappresentazione del [VER PDF ADJUNTO] Ho quindi scelto di rico-struire le linee generali del percorso politico di alcuni "personaggi eccellenti", desunto da fonti superstiti per lo più appartenenti alla produzione storiografica e retorica del IV d.C., per quanto il genere encomiastico -che dovrò di necessità utilizzare per questo sondaggio- non si presti naturaliter a una ricostruzione minimamente oggettiva dei fatti storici9. Tali testimonianze concorreranno alla recherche dell’Idealtypus tirannico nel Tardoantico, vale a dire dell’anti-modello regale per eccellenza, che gioca un ruolo non secondario nel trapasso

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    dalla concezione romana dello stato a quella bizantina, fondata sull’imperatore [VER PDF ADJUNTO]10.

    A una prima analisi, i testi accreditano per lo più la persistenza dei [VER PDF ADJUNTO] platonici e aristotelici relativi alla tirannide e al tiranno: ne emergerebbe un "tiranno di maniera", che ha fatto il suo tempo, e la cui descrizione letteraria non corrisponde all’evoluzione storica della figura. È facile però individuare, al di là del riuso dei modelli classici di riferimento, un atteggiamento diffuso di tensione e attenzione verso il presente o il recente passato, di certo ben più di quanto appaia a una prima lettura11.

    Così, sia negli oratori pagani, quali Libanio e Temistio, sia negli storici, ecclesiastici e non, quali Eusebio, Teodoreto di Cirro o Zosimo, si ha l’impressione di rileggere la descrizione dell’[VER PDF ADJUNTO] platonico, schiavo di quella parte concupiscibile dell’anima, prona ai piaceri, dalla quale è sospinto in un continuo stato di desiderio frustrato fino ad una condizione psicologica paragonabile alla follia. In una parola, è Eros che induce l’uomo d’indole tirannica a ricercare la soddisfazione di tutti i desideri legati all’eccesso, ingenerando vizi quali l’ubriachezza, la sfrenatezza sessuale, il dispregio verso la religione costituita, la violenza in ogni sua forma, l’ostentazione del lusso e del potere personale. La brama di potere può alfine trasformarsi, a causa di particolari condizioni presenti nella [VER PDF ADJUNTO], in supremazia politica12.

    Similmente, nella Politica di Aristotele, il tiranno è tratteggiato come un essere che non controlla le proprie pulsioni e persegue con ogni mezzo il proprio utile, eppure il filosofo sostiene che, qualora egli voglia accostare il suo potere a quello regale e si volga alla moderazione e al bene comune, può persino accadere che il suo governo acquisisca connotazioni positive13.

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    Nella rifiessione tardoantica, dunque, permangono le caratteristiche usuali fondanti il typus morale e politico del tiranno, eppure si assiste a un sensibile mutamento degli attributi "classici" attraverso la loro attualizzazione e/o innovazione. Poiché è chiara l’inattualità e l’insufficienza ermeneutica del modello tirannico secondo le categorie del pensiero politico classico, la molteplicità dei signa che s’affollano intorno alla persona del princeps necessitano di nuove e diverse elaborazioni concettuali. La natura dell’imperatore era infatti ancora elettiva nel IV secolo d. C., né il lessico politico aveva postulato una terminologia alternativa per definire quel passaggio dal princeps al dominus che sarà a sua volta anticipatore della nascita dell’[VER PDF ADJUNTO] bizantino14. Il carattere elettivo resisteva, tra l’altro, alla cristallizzazione dinastica propria del dominatus attraverso l’attacco ricorrente di forze estranee alla linea di successione familiare, che rivendicavano a sé il potere spesso a giusta ragione, se si osserva la reale incapacità di governo di alcuni principes pueri, ad esempio15.

    È quindi possibile tratteggiare un tipo weberiano del tiranno16, quale imago imperatoris occulta o, se si vuole, contraddizione immanente all’esercizio del potere monocratico, ma soltanto dopo aver acquisito coscienza dell’ambiguità ideologica e semantica che permea l’idea di tiranno nell’Antiquité Tardive. In tal contesto, la suddivisione tra aspetto politico ed etico della tirannide si rivela efficace per distinguere le affermazioni delle fonti di età augustea e dei primi secoli d.C., che condannano prevalentemente le inclinazioni passionali degli imperatori accusati di comportamento tirannico, senza però screditarne la legittimità17; da quelle di età costantiniana e postcostantiniana, che trasferiscono la loro attenzione sull’aspetto più schiettamente politico, in seguito alla destabilizzazione vissuta nella seconda metà del III d. C., allorché si era pale-

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    sata la drammatica labilità dell’elezione imperiale attraverso l’acclamazione militare18.

    Quindi, sebbene nella teorizzazione classica si postuli al fondo delle rivendicazioni del tyrannus un rapporto di causa-effetto tra la psicologia tirannica e le sue scelte pubbliche, è preferibile qui indagare soprattutto i caratteri relativi allo status e all’operato politico del tiranno, o, per meglio dire, di quel detentore del potere che quale tiranno è presentato nella tradizione pervenutaci. Si deve inoltre specificare che, se la premessa generale ricavabile dalle fonti è sempre quella della non legittima pretesa di governo da parte di un singolo, il tyrannus, però, s’incarna storicamente in una pluralità di figure che si possono essenzialmente ricondurre a tre tipologie-base, di seguito enumerate:

    1) è un tiranno l’usurpatore vinto dal legittimo sovrano;

    2) è un tiranno l’usurpatore che diventa legalmente imperatore;

    3) è un tiranno il legittimo detentore del potere che viola le leggi e si pone al di sopra di esse (ma in tal caso sarebbe...

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