Origine divina e prassi umana nei fondamenti del diritto musulmano

AutorMassimo Campanini
Cargo del AutorUniversità di Napoli l'Orientale, Italia
Páginas213-226

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IN Islam il diritto è notoriamente di origine divina. Attraverso il

Corano e ispirando il comportamento del suo Profeta, cioè attraverso la sunna, Dio ha gettato le basi della normatività civile e penale, quella che con termine onnicomprensivo si chiama shari‘a. La shari‘a, per altro, non deve essere considerata il diritto musulmano in senso proprio; bensì la «via» (questo il significato etimologico del termine) che conduce, da una parte, alla formulazione del sistema organico del diritto musulmano, il fiqh, e, dall’altro, alla definizione dei princìpi etici universali che devono ispirare l’agire umano.

Ora, nel suo ormai classico manuale sulla storia della giurisprudenza islamica, Noel Coulson notava, da una parte, che «la Legge, nella teoria islamica classica, è la volontà rivelata di Dio, un sistema ordinato da Dio che precede e non è preceduto dallo stato musulmano, che controlla e non è controllato dalla società musulmana»; d’altra parte, «inerente alla Legge islamica è la distinzione tra la dottrina ideale e la pratica attuale, tra la shari‘a come esposta dai giuristi classici e la legge positiva applicata nei tribunali».1

Alla luce delle osservazioni di Coulson è possibile tracciare un’importante distinzione, quella tra teoria e pratica istituzionale. Ciò riflette l’altrettanto necessaria distinzione tra shari‘a e fiqh. La prima, collocata sul piano dell’astrazione teorica, ha un indubbio caratterePage 216 «soggettivo», dipendendo dalla volontà di Dio che l’ha formulata. Il fiqh ha un carattere «oggettivo», calato nella pratica quotidiana del giudicare e dell’amministrare la giustizia.

Vi è tuttavia un punto che è indispensabile notare: la shari‘a è parte integrante del fiqh, le cui radici sono il Corano e la sunna (cioè la shari‘a stessa), oltre al consenso comunitario (ijma‘) e al ragionamento analogico (qiyas). Dunque, il fiqh ingloba la shari‘a, per cui il fiqh viene inevitabilmente condizionato dalla «soggettività» rivelata della shari‘a. Ciò non vuol dire tuttavia che ci sia stata una sistematica applicazione sharaitica. Come ha notato Silvio Ferrari alla luce di una analisi della fonti secondarie di storia del diritto islamico, «più di uno studioso ha notato che la shari‘a non è mai stata applicata integralmente: fin da tempi assai prossimi alle origini dell’Islam, l’autorità politica ha regolato la materia amministrativa, penale e commerciale in termini largamente discrezionali e per opera di tribunali diversi da quelli religiosi.2 Benché queste norme avessero carattere regolamentare, il confine tra legge e regolamento non era affatto facile da individuare sicché si è fatta strada l’idea che vi fosse una sfera ‘in cui il governante può correttamente esercitare una legittima giurisdizione’».3

Ma noi vogliamo andare oltre a questo tipo di osservazione che risulta ormai largamente condivisa e che attiene alla necessaria distinzione tra shari‘a, fiqh e qanun (il diritto per lo più amministrativo formulato dalle autorità politiche). Un secondo punto essenziale su cui insistere infatti riguarda la formazione delle teorie legali e soprattutto degli usul al-fiqh.

Per esempio, l’ijma‘ o consenso comunitario è nato in seguito a una precisa necessità politica. Secondo Camille Mansour l’ijma‘ fuPage 217 indispensabile per dare un fondamento teorico-istituzionale all’autorità in mancanza di una struttura e di un sistema religioso-clericale (come quello cristiano) incaricatosi di opporre e di confrontare le credenze religiose col potere laico. La sua funzione all’interno della Comunità, insomma, fu quella di sopperire alla mancanza di un sistema religioso istituzionalizzato e di venire incontro alla necessità di sopperire al silenzio del Profeta (ormai defunto) e di trovare un fondamento di legittimità a decisioni che riguardavano l’intera Comunità.4

Che poi questo sia accaduto o per evoluzione dell’ijtihad5 di personaggi autorevoli, come il califfo ‘Omar (634-644), ijtihad che sarebbe stato accettato a sua volta dalla Comunità con valore normativo come vuole Ahmad Hasan6, o perché, come spiega Fazlur Rahman, si pose il problema di saldare la pratica idealizzata della sunna del Profeta con la sunna (o meglio le sunne) ispirata a quella del Profeta ma teorizzata dai dottori, per cui l’ ijma‘ appare come la normalizzazione delle pratiche viventi delle diverse scuole giuridiche in conflitto7 – non ha molta importanza. Quello che è importante è dimostrare quanto i fondamenti del diritto islamico si siano elaborati in precisa relazione alla formazione della comunità musulmana e della sua stabilizzazione istituzionale.

Si ripropone dunque la questione della distinzione tra teoria e pratica del diritto. Alla luce della quale bisogna puntualizzare meglio l’ipotesi di Coulson per cui la Legge islamica precede e non è preceduta dallo stato islamico e che controlla e non è controllata dalla società islamica. Nel senso che ciò è in linea generale vero sul piano teorico, ma non automaticamente sul piano pratico. È caratteristicoPage 218 che questo sia avvenuto anche per la dottrina politica islamica in senso lato. Come ho più volte sottolineato, per secoli il potere politico islamico si è legittimato attraverso il suo esercizio, laddove solo quando le istituzioni politiche (il califfato) sono andate in crisi si è avvertita, con al-Mawardi (XI secolo), la necessità di formulare una teoria completa dell’autorità politica. Essa dunque è venuta a posteriori della costituzione dello stato (presuntivamente islamico)8, anche se poi ha voluto apportare allo stato un marchio islamico: in tal senso si può parlare del califfato di al-Mawardi non come dello stato islamico, ma come di un modello islamico di stato.9

Si può dire lo stesso del diritto islamico? Il diritto sviluppato dalle scuole giuridiche sunnite è un diritto islamico o un modello islamico di diritto? Ossia, in altri termini, è davvero la Legge di Dio che si impone, è la shari‘a – «soggettiva» espressione della volontà di Dio - che governa, o una legge umana che gli uomini hanno formulato sul piano pratico, e dunque «oggettivo», «facendo parlare» Dio in loro vece?

Il primo punto da sottolineare è che comunque a priori della elaborazione giuridica storica sembra vi sia stata, almeno potenzialmente, la «soggettività» della decisione di Dio incarnata nella shari‘a unita alla «soggettività» della sunna ideale del Profeta Muhammad, a sua volta divinamente ispirata. Ciò ha implicato in qualche modo che la costruzione delle dottrine e delle pratiche legali dell’Islam è stata condizionata da elementi non derivati esclusivamente da una «oggettiva» realtà storica (l’evoluzione dei califfati per esempio o delle stesse scuole giuridiche in rapporto alle necessità di governare un impero inPage 219 espansione10) oppure di pratica sociale (le necessità sociali determinano il diritto e non, viceversa, il diritto modella le necessità e le pratiche...

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