Diritti fondamentali e cittadinanza. Tutela dell'ordine democratico ed esercizio dei diritti di cittadino

AutorGian Pietro Calabrò
Páginas65-72

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1. L’irrompere dei fenomeni che hanno sconvolto negli ultimi decenni le nostre società, dall’immigrazione al terrorismo e alla rottura di quella unità politica degli stati nazionali, su cui il grande C. Schmitt ha scritto pagine sublimi, hanno messo in eccitazione una serie di categorie giuridiche facendo vacillare, anche, quella classe dei diritti fondamentali, che costituivano il sancta sanctorum delle costituzioni contemporanee. Di fronte a tutto ciò il giurista non può restare inerte ed assistere al lento fluire verso un nichilismo compiacente e ineluttabile. Il tema dei diritti fondamentali, se da una parte sembra essere messo in discussione dal sorgere di nuovi e sempre più vuoti diritti, dall’altra, il tipo di società che contrassegna questa nostra epoca richiama, con urgenza, un principio ordinatorio che consenta di vivere in pace, anzi di cum-vivere, di vivere insieme all’altro, diverso e portatore di diritti e di culture, non sempre conciliabili e tollerabili, all’interno dello stato costituzionale.

L’enfatizzazione del diritto alla diversità, l’apertura universalistica verso il barbarus, se non vuole essere mera retorica o al più una pura esercitazione sociologica deve misurarsi con una categoria, quella di "ordine democratico", che, sebbene presa in prestito dalla normativa di contrasto al terrorismo, si presta ad essere una cartina di tornasole per dare concretamente ed efficacemente la misura dell’esercizio di quel diritto di cittadinanza, che come è stato definito, costituisce "il diritto ad avere diritti", quel prius, cioè, entro cui o, meglio, grazie a cui possono essere esercitati tutti gli altri diritti fondamentali1. La chiave mediante la quale si vuole affrontare un tema così complesso e che ormai occupa tutto il dibattito socio-politico, consiste nell’individuare nel sistema dei diritti fondamentali vigenti nelle carte costituzionali e nei trattati dell’Ue, un principio ordinatorio della complessità e multi eticità delle

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nostre società. Un’operazione dettata da un radicale realismo giuridico e dal bisogno di semplificazione epistemica dell’intero discorso.

  1. L’uso del termine "sistema" vuole indicare la necessità di una rifles-sione seria senza indulgere a rituali richiami, evocativi di spiegazioni sociologiche, non sempre suscettibili di riscontri scientifici. Si tratta, in verità, di affrontare la questione da un punto di vista rigorosamente giuridico, a condizione però che si chiarisca cosa si intende per diritto, oggi. Sempre più avvertita appare, infatti, l’esigenza che la scienza del diritto si collochi entro una visione teleologica, propria di una logica dei fini, superando così la logica riduttiva dei mezzi, in cui procedura e azioni piuttosto che strumenti per la realizzazione dei fini, si pongono come fini in sé.

    L’elogio della forma, celebrato anche di recente da N. Irti, delinea una norma indifferente ai contenuti, rosa dal tarlo del nulla2. Nessuna norma è interdetta, esse possono essere o non essere a seconda della volontà del legislatore. Infatti, osserva Irti, che «la necessità che un diritto esista si congiunge così all’arbitrarietà dei contenuti giuridici»3. In questo caso il diritto si riduce tutto alla volontà politica ed ai meri interessi economici, segnando, in questo modo, la crisi dello stato costituzionale, il cui fondamento consisteva nel sottrarre parte del diritto, attraverso i principi e i valori costituzionali alle mute-voli volontà politiche, anche di maggioranza. Viene, in altre parole, lacerato quell’orizzonte teologico, fatto da principi e valori, fatti per costruire quella super-legalità costituzionale, atta a limitare e a fissare i criteri della legalità ordinaria, frutto della volontà del legislatore. Non si tratta di ritornare, in modo nostalgico, a forme di diritto naturale, il Leviatano contemporaneo ha ormai metabolizzato ogni residuo metafisico, riducendo il diritto, tutto il diritto alla mera artificialità, quale prodotto della volontà umana. Ma, è proprio questa sua struttura artificiale, che richiama l’altro aspetto conseguenziale, la sua strumentalità. Se tutto l’ordinamento è machina machinarum, costruita e voluta dall’uomo, allora è necessario che in quanto strumento abbia un "fine". I fenomeni della modernità o post-modernità, come ancora lucidamente osservato da N. Irti, riconducono tutto alla premessa che «la norma giuridica è considerata prodotto del fare umano: non qualcosa che si trova dentro di noi o dinanzi a noi, ma qualcosa che noi vogliamo e determiniamo»4. In questo senso essa è autoreferenziale, indifferente a tutti i contenuti, a qualsiasi materia, cioè qualsiasi ipotesi di norma può immettersi nei canali della procedura, che assicura la sua posizione, validità, o esistenza, come ricorda Kelsen, all’interno dell’ordinamento. Ma nulla dice circa il suo contenuto, se giusto o ingiusto, utile o inutile, esprime solo la sua regolarità funzionale, tecnica. Se questa è la struttura delle procedure giuridiche, pro-

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    duttive di norme, allora essa è applicabile anche a quelle democratiche, in cui il criterio aritmetico della maggioranza e della minoranza seleziona le diverse proposte normative per convertire in diritto positivo alcune e abbandonan-done altre. La proposta così convertita in norma si dirige ai suoi destinatari obbligandone le loro volontà. «La solitudine del diritto, come scrive ancora Irti, lasciato a se stesso, e tutto racchiuso nelle tecniche produttive, è, in qualche modo, la splendida solitudine della forma»5. Questa rappresentazione, la cui efficacia descrittiva supera la bellezza di un mosaico bizantino, in realtà entra in collisione, allorché irrompono nell’itinerario procedurale valori e culture, fedi religiose e politiche, tutte con la pretesa di essere garantite e tutelate, e ognuno affermando proprie verità. Non solo, ma l’unità politica dello Stato nazione, entrato in crisi non sembra trovare nuovi modelli decisionali e tarda ad apparire un nuovo Leviatano, che metta ordine ad una...

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