Italia: La responsabilità civile degli internet providers alla luce della direttiva n. 2000/31/CE

AutorGiovanni Maria Riccio
CargoBorsista del dottorato di ricerca in «Comparazione e diritto civile», Università di Salerno (Italia)
Páginas25

GIOVANNI MARIA RICCIO*

La responsabilità civile degli internet providers alla luce della direttiva n. 2000/31/CE**.

  1. Introduzione. -2. La direttiva 2000/31/CE ed i modelli di riferimento. - 3. Analisi delle disposizioni della direttiva relative alla responsabilità dei prestatori intermediari. - 4. Conclusioni.

  2. La responsabilità dei soggetti che operano in Rete rappresenta un tema che, ormai da tempo, è oggetto di attenzione da parte dei diversi formanti del sistema.

    Prima la giurisprudenza, seppur con posizioni opposte ed altalenanti, poi la legislazione, a livello nazionale e sovranazionale, sembrano aver preso posizione sul punto, facendo chiarezza su quella che appare come una delle più intricate tematiche scaturenti dall’avvento di internet. Anzi, potrebbe dirsi che sia stato proprio l’intervento del formante legislativo a tracciare le guidelines in un settore reso caotico dall’atteggiamento poco deciso della giurisprudenza.

    Il presente intervento, seppur in estrema sintesi, si ripropone di tracciare gli sviluppi della materia, soffermandosi, in particolare, sulla recente direttiva 2000/31/CE e sui modelli dai quali la stessa ha tratto ispirazione.

    La discussione, però, non può che prendere le mosse da alcune caratteristiche comuni alla tematica in esame ed all’intero sistema della responsabilità civile. In primo luogo, va ricordato che la responsabilità per fatto illecito è espressione di un diritto «interpretativo, ma politico»: con questa espressione vuole intendersi che, qualsiasi scelta, in questo settore, è frutto di un ponderato bilanciamento di interessi di natura non solo giuridica e che, allo stesso tempo, il compito di tracciare i limiti e le funzioni dell’istituto - cui va riconosciuta una non comune 'elasticità' - non è svolto in via esclusiva dal legislatore, ma è integrato dall’opera dell’interprete[1]. In secondo luogo, le regole della responsabilità civile, per loro stessa natura, godono di una particolare attitudine alla circolazione transfrontaliera: questo dato è confermato dalla posizione, corretta, di chi ritiene che il sistema in esame abbia «in diritto comparato [...] da tempo ricevuto una sistemazione spontanea»[2]. In ultimo, la dottrina, da tempo, si è sforzata di scardinare il c.d. dogma della colpa[3], individuando l’esistenza di un sistema articolato, all’interno del quale convivono una pluralità di criteri di imputazione[4]. Non dovrebbe sussistere, quindi, una dicotomia colpa-responsabilità oggettiva: la responsabilità oggettiva non costituisce l’unica forma alternativa di responsabilità, ma si presenta, a sua volta, come uno dei possibili criteri di imputazione dell’illecito.

    La colpa, invece, pur perdendo il suo ruolo predominante all’interno del sistema, manterrebbe la valenza di criterio normale di imputazione[5], nei cui confronti le altre ipotesi di responsabilità si porrebbero in un regime di specialità[6].

    Queste tre caratteristiche convivono anche nella responsabilità degli intermediari della Rete. In primis, l’attitudine alla circolazione del diritto: internet, come si è detto con una felice espressione, «o è sovranazionale o non è»[7]. Pertanto, la necessità di ricercare delle regole applicabili oltre i confini nazionali, comporta, necessariamente, l’osservazione ed, in taluni casi, l’imitazione dei modelli stranieri.

    Allo stesso modo, prima dell’emanazione della direttiva citata, si è avvertita fortemente, nelle soluzioni adottate dalle corti, la contrapposizione tra modelli di responsabilità fondati sulla colpa e modelli a carattere oggettivo o vicario[8]. Anzi, parafrasando quanto detto da altri, si ha l’impressione che i testi normativi intervenuti sul punto abbiano tentato di sovvertire le posizioni eccessivamente rigorose delle singole giurisprudenze nazionali[9].

    Questo è quanto avvenuto negli Stati Uniti, in Francia ed in Germania.

    In particolare, appare interessante il dibattito scatenatosi nei casi statunitensi di defamation, nei quali le corti hanno fatto ricorso ora alle regole relative alla responsabilità editoriale[10], ora agli ordinari criteri di imputazione fondati sulla colpa[11]. In seguito a questa posizione, vi è stata l’emanazione del Communications Decency Act, nel quale viene negata - § 230 (c)(1) - l’equiparazione dei fornitori dei servizi internet ai soggetti che operano nel settore della stampa[12].

    Analogamente, anche nei casi di copyright infringement, le corti hanno inizialmente fatto ricorso alle regole di vicarious liability[13]. In seguito, però, non senza critiche[14], il formante legislativo ha preferito invertire le soluzioni giurisprudenziali, dettando una normativa (Online Copyright Infringement Liability Limitation, che è parte del Digital Millennium Copyright Act del 1998)[15] particolarmente favorevole per i providers[16], che possono essere chiamati a rispondere per gli illeciti commessi in Rete solo a titolo di contributory infringement[17].

    Non differisce, in proposito, il modello francese. Anche in questo caso, infatti, si è assistito allo scontro tra formante giurisprudenziale, che ha impostato la vicenda in chiave di responsabilità oggettiva[18], e legislativo, che, con la legge 2000-719 del 1° agosto 2000, ha preferito soluzioni in grado di contemperare gli interessi contrapposti[19].

    In ultimo, anche il modello tedesco non sembra aver seguito un iter differente, seppur prima degli altri Paesi europei, avendo emanato il Teledienstegesetz (TDG) già nell’estate del 1997. Tuttavia, non può essere dimenticato che, ciononostante, in Germania si è verificato uno dei casi più celebri relativi alla responsabilità dei prestatori di servizi telematici[20], che ha segnato la condanna del direttore della CompuServe tedesca, giudicato colpevole per aver ospitato due newsgroups, utilizzati da pedofili per scambiare immagini. Le disposizioni del Teledienstegesetz non sono state ritenute applicabili dal momento che, a giudizio della corte, il provider avrebbe dovuto conoscere il contenuto dei servizi offerti, attesa la particolarità dei loro nomi (nella fattispecie alt.sex e alt.erotica).

  3. La direttiva comunitaria risente, inevitabilmente, di questi antecedenti.

    È da notare, in primo luogo, la peculiarità dell’assetto definitorio. Sebbene il modello comunitario, in linea con la legge tedesca ma antiteticamente rispetto all’Act americano, opti per un regime di atipicità degli illeciti che possono essere commessi in Rete, le definizioni fornite non sono riconducibili alla tecnica che ha segnato la codificazione in materia di responsabilità aquiliana. Le disposizioni della direttiva - come puntualmente si è osservato in dottrina - dettano una disciplina, per dir così, in negativo, dal momento che individuano le condizioni al rispetto delle quali i prestatori non possono essere responsabili[21]. Nulla si dice riguardo al giudizio di responsabilità, che appare desumibile in via residuale, eliminate le ipotesi previste dalla direttiva. Lo stile, anzi, sembra risentire dell’influenza americana, ponendo dei limiti all’operato dei giudici ed esaltando, nel contempo, la libertà di espressione[22].

    Dal modello statunitense, la direttiva riprende, a volte quasi pedissequamente, il contenuto delle definizioni. Inoltre, cosa che appare ben più interessante, la direttiva non prende in considerazione i singoli operatori, ma le attività concretamente svolte[23]: una scelta apprezzabile, ove si rifletta sul fatto che, sovente, un medesimo operatore svolge contemporaneamente più attività. In relazione all’ambito soggettivo ed a quello oggettivo permangono, invece, alcune differenze con il modello statunitense.

    Alcune attività, infatti, prese in considerazione dall’Act americano non sono contemplate dalla direttiva, all’interno delle quali merita di essere ricordata quella esercitata dai motori di ricerca[24]. Si tratta, però, di una differenza solo apparente o, meglio, temporanea, dal momento che la stessa direttiva (art. 21, par. 2) menziona, tra i possibili punti da sottoporre al riesame della normativa - che, ai sensi dell’articolo citato dovrebbe avvenire a scadenza biennale -, la responsabilità dei fornitori di collegamenti ipertestuali e dei motori di ricerca.

    L’altra differenza tra le due normative concerne, come si accennava poc’anzi, l’ambito oggettivo di applicazione: infatti, mentre il DMCA adotta un modello di tipicità degli illeciti sanzionabili, comprendente i soli casi di copyright infringement, la direttiva europea si rifà al modello contrapposto, essendo applicabile a tutti gli illeciti commessi in Rete[25]. Questa soluzione era già stata accolta nel Teledienstegesetz. Allo stesso modo, dal modello tedesco, la direttiva europea riprende la soluzione di estendere l’ambito della normativa sia alla responsabilità civile sia a quella penale[26].

  4. Le guidelines alla base della scelta legislativa comunitaria sono riassunte nei considerando, dove si dice che, per avvantaggiarsi del regime previsto dalla direttiva, i prestatori non devono essere in alcun modo coinvolti nel processo di trasmissione dell’informazione (cons. n. 42) e che la loro attività deve essere di ordine meramente tecnico, automatico e passivo (cons. n. 43).

    L’art. 12 prende in esame l’attività che va sotto il nome di «semplice trasporto»: con questa espressione il legislatore ha incluso quel complesso di prestazioni tecniche che necessitano la «memorizzazione automatica, intermedia o transitoria delle informazioni trasmesse» per un arco temporale che non può eccedere quello «ragionevolmente necessario a tale scopo». Si tratta di un’espressione volutamente generica i cui limiti, tenendo anche conto delle eventuali evoluzioni tecnologiche, potrebbero essere fissati dall’opera di integrazione della giurisprudenza.

    Per aversi applicazione dell’art. 12, è necessario che il prestatore tecnico non dia origine alla trasmissione, non selezioni la stessa, non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse.

    Il semplice trasporto, all’interno delle attività...

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